Nel suo ultimo avvertimento, in ordine di tempo, il presidente russo Vladimir Putin ha avvertito che, in caso di minaccia alla sicurezza del suo Paese le forze armate potrebbero usare armi che i suoi nemici (cioè la Nato) non hanno. “Se qualcuno intende intervenire negli eventi in corso dall’esterno e creare minacce inaccettabili per noi, allora dovrebbe sapere che la nostra risposta a questi attacchi sarà rapida e fulminea”, ha dichiarato Putin. “Noi abbiamo tutti gli strumenti per questo, strumenti che nessuno può vantare e che noi non vanteremo: li useremo se necessario e voglio che tutti lo sappiano”.
Le armi sperimentate dai russi
Ovviamente queste frasi hanno dato origine ad una serie di speculazioni giornalistiche. Quali sarebbero questi “strumenti che nessuno può vantare” e di cui invece la Russia sarebbe in possesso? È difficile, prima di tutto, che il presidente russo faccia riferimento alle armi di distruzione di massa. Prima di tutto perché è quasi dall’inizio del conflitto che sta sventolando la minaccia nucleare, contro chiunque provi a interferire con i suoi piani di invasione. Non sarebbe più una sorpresa. Per di più, non si tratterebbe di una novità: tutti conoscono l’arsenale nucleare russo, sia tattico che strategico, e sia la Nato che gli Usa dispongono di armi nucleari. Lo scenario di guerra con armi di distruzione di massa, con uso di agenti chimici, batteriologici o di ordigni nucleari, è uno dei più studiati dall’inizio della Guerra Fredda.
I missili ipersonici
È anche difficile pensare che Putin si riferisse ad alcune delle sue ultime “wunderwaffen”, come i missili da crociera ipersonici lanciati da navi e sottomarini (Tzirkon), il missile da crociera intercontinentale a propulsione nucleare (Burevestnik) o il drone sottomarino sempre a propulsione nucleare (Poseidon). Le forze armate russe hanno sempre sperimentato sul campo nuove armi. Nel conflitto siriano avevano lanciato, dal Mar Caspio, missili da crociera Kalibr per colpire bersagli nella Siria occidentale: un’azione dimostrativa, più che militare, per dimostrare alla Nato di cosa fossero capaci. Anche in questo conflitto ucraino, i russi hanno impiegato almeno due missili ipersonici balistici Kinzhal contro bersagli nell’Ucraina occidentale: un raid di poco valore dal punto di vista militare (i Kinzhal sono progettati per colpire portaerei e navi di superficie bypassando le loro difese aeree, sono sprecati se impiegati contro bersagli fissi scarsamente difesi), ma utile per mostrare alla Nato di averli già operativi.
I rischi della cyber-guerra
Nessun Paese occidentale dispone di missili ipersonici, ma abbiamo visto quale sia il loro uso possibile ed anche i loro limiti operativi. È dunque difficile che i russi si limitino a sprecare altre “armi del miracolo” per impressionare l’Occidente. Per capire quale possa essere una risposta “fulminea”, non dovremmo pensare ad armi presenti nell’arsenale russo, ma semmai al loro uso di nuove tecnologie che permettano anche di nascondere la provenienza dell’attacco. L’Estonia, nel 2007, è stata vittima di un sabotaggio informatico che ha messo in crisi siti istituzionali e bancari. La provenienza era abbastanza chiara: la Russia. Ma non è stato possibile raccogliere prove sufficienti per incolpare Mosca. Un attacco informatico con la tecnologia del 2022 sarebbe infinitamente più potente. Se ci poniamo la domanda “cosa possiamo controllare usando Internet”, la risposta si avvicina a “qualsiasi cosa”. Un attacco cibernetico potrebbe paralizzare completamente le infrastrutture di un Paese.
Finora la Russia, che assieme alla Cina, è leader nello sviluppo delle armi della cyber-guerra, ha mantenuto un basso profilo su questo fronte. In Ucraina si è limitata ad un attacco hacker contro le banche e le sedi governative nel primo giorno di guerra. C’è chi ipotizza che non sia stata in grado di penetrare le difese dell’Ucraina e dei Paesi che la sostengono. Ed è possibile che sia così, visto che, più vasta è la rete dei nemici, più solide sono le sue difese: la cybersecurity è tanto più forte quanto è più vasta la cooperazione. La Russia, anzi, si è dimostrata assai vulnerabile agli attacchi hacker del gruppo Anonymous che sono giunti a stampare messaggi di contro-propaganda prendendo il controllo di stampanti in Russia e poi addirittura di entrare nel sistema Tv interno del Cremlino. Anche qui: è impossibile risalire a chi sia realmente dietro l’etichetta Anonymous, la Russia non potrebbe lanciare rappresaglie contro queste azioni dimostrative eclatanti. C’è comunque la possibilità concreta che il Cremlino stia tenendo in serbo armi cibernetiche che non ha ancora usato.
Un’altra forma di attacco subdolo, ma ancora più pesante, potrebbe consistere nel taglio dei cavi marini in fibra ottica su cui corre il 97% dei dati. Secondo l’intelligence della Nato, la Russia dispone sia di sottomarini che di navi di superficie adatti allo scopo. Una di queste unità, la nave-spia Yantar, ha lasciato la sua base artica all’inizio del mese. Un attacco alle autostrade informatiche mondiali, nell’era della comunicazione, sarebbe devastante. Ma molto rischioso. Prima di tutto perché è difficile nascondere la mano, camuffandolo da “incidente”. La Nato considererebbe un attacco simile come un atto di guerra, la qual cosa precipiterebbe l’escalation verso la guerra generale.
La “bomba E”
Infine, lo scenario più devastante immaginabile (e sempre abbastanza ambiguo da nascondere la provenienza) è e resta un attacco Emp. Dagli anni 90, tutte le grandi potenze, Russia inclusa, hanno studiato “bombe E” non nucleari. Anche senza far denotare una bomba atomica ad altissima quota, cosa che comporterebbe una rappresaglia quasi automatica, una “bomba E” genererebbe un fascio di impulsi elettromagnetici in grado di bruciare linee elettriche, circuiti e microprocessori in un solo istante, in un’area prescelta. Sarebbe anche difficile capire chi abbia lanciato cosa, anche perché l’accecamento e la confusione delle vittime sarebbe totale.
Provate ad immaginare un mondo senza energia elettrica: niente luce, elettrodomestici, refrigeratori, computer, telefoni e smartphone, televisioni, radio, automobili (niente più iniezione elettronica), treni e aerei, ospedali (con tutta la loro apparecchiatura elettronica) e pompe dell’acqua. Più niente: nell’area colpita si tornerebbe all’era pre-industriale. C’è solo da sperare che gli studi sull’effetto Emp siano esagerati. O che esista un chiaro piano per prevenirne l’uso o resistere all’impatto. Ma la Russia è disposta a rischiare la possibilità di una rappresaglia altrettanto devastante?
Stefano Magni, 29 aprile 2022