L’imprenditore e l’economia pianificata. Per gentile concessione dell’autore, un estratto da “La verità, vi prego, sul neoliberismo”, libro di Alberto Mingardi, uscito da poco per Marsilio. Per una settimana, tutte le sere, sul nostro sito troverete un teaser, una piccolo boccone del libro appena uscito. Ecco la quarta puntata.
Antonino Cannavacciuolo è il cuoco stellato mattatore di Cucine da incubo, uno dei tanti show a tema gastronomico che passano in televisione. Cucine da incubo non ci mostra le performance dei virtuosi della cucina, ma ci costringe a fare i conti con ristoranti che, non reggendo la concorrenza, invocano il demiurgico intervento di Cannavacciuolo.
Siccome il programma deve essere avvincente, molto spesso il rude mago dei fornelli si trova a rammendare famiglie che non si parlano più, mogli che cucinano con la testa altrove in odio a mariti che stanno alla cassa e fanno troppo i galanti con le clienti, figli che sfidano l’autorità paterna dimenticandosi di condire la zuppa e fidanzate che annotano male le comande, prese come sono dall’indicibile desiderio di starsene altrove.
Però oltre le vicende umane e l’ammirazione che inevitabilmente suscitano le sue pietanze semplici ma impiattate come farebbe Matisse, Cannavacciuolo guarda i conti e cerca di spiegare agli imprenditori sull’orlo di un crac come ragionare sulla loro offerta: una pizzeria non può offrire selvaggina pregiata tutte le sere, perché i suoi avventori si aspettano altro e rischia di finire con la cella frigorifera sempre piena e una montagna di debiti; un ristorante di un paesino dell’hinterland torinese non può sbizzarrirsi col mettere in menu crostacei e pesci costosissimi, soprattutto se non ha in cucina chi abbia il tocco adatto a conquistarsi in pochi anni una stella Michelin.
A una persona colta e intelligente come il lettore di questo libro, parranno considerazioni di sconcertante banalità. Tenete però presente che sono il pane quotidiano dei circa 200 mila ristoratori che operano nel nostro paese. Ma affrontare questioni di questo tipo non è poi così banale, se teniamo conto che circa il 45% di queste attività non sopravvive più di tre anni. La loro longevità dipende quindi in buona parte dalla capacità del singolo imprenditore di migliorare la sua offerta e di ridurre gli sprechi. Il testo del mercato non è sempre facile da leggere. Ma se anche questa può sembrare una considerazione banale, non lo è per chi vede come unico effetto del libero mercato quel 45% di imprese fallite, e nella centralizzazione dell’economia l’unica soluzione plausibile.
Alberto Mingardi, La verità, vi prego, sul neoliberismo (Marsilio 2019)
(4.segue)