Esteri

L’editto degli ayatollah: vietato recitare a chi non indossa il velo

Le autorità di Teheran e la nuova ordinanza rivolta alle donne che lavorano nel settore del cinema

© Ozbalci, hiloi e dragana991 tramite Canva.com

«Ripuliamo il cinema da chiunque abbia protestato per Mahsa Amini» È questa la dura ordinanza delle autorità di Teheran: «I produttori sono avvertiti, se collaborano con loro non avranno i permessi di distribuzione». Un’ordinanza che, amara ironia della sorte, viene emessa dopo un anno dal barbaro omicidio della ventiduenne iraniana picchiata a morte dalla polizia morale, perché indossava male il velo. Un orrore che fu la miccia della rivolta delle donne iraniane in tutte le principali città del paese.

Ebbene, nonostante le proteste scritte col sangue di giovanissime, le autorità di Teheran hanno stabilito una nuova ordinanza rivolta specificamente al settore del cinema, precisamente alle attrici che sono comparse in pubblico in qualsiasi momento del passato senza hijab. Queste, a detta di Habib Ilbeigi, il vicedirettore per il monitoraggio del settore cinematografico del governo, non potranno più recitare in alcun film prodotto nel Paese. «Le loro precedenti opere saranno via via pubblicate per evitare di danneggiare i produttori», ha precisato il vicedirettore in un’intervista all’agenzia di stampa statale Iran, ma alle attrici “disobbedienti” «non sarà più consentito prendere parte a nuovi progetti di film di qui in avanti». Un ammonimento lanciato anche ai produttori cinematografici.

Infatti, in una recente lettera riportata da Iran Wire, Ilbeigi li ha avvisati dicendo che avranno difficoltà nell’ottenere i permessi necessari per la distribuzione delle opere qualora dovessero continuare a collaborare con attrici apparse in pubblico senza l’hijab. Nell’intervista a Irna, il vicedirettore ha anche confermato che ad alcuni attori e registi «è stato vietato di lavorare» – non sono ancora chiare le modalità – a causa del loro coinvolgimento più o meno diretto nelle loro proteste dell’ondata “Donna, vita, libertà”. “Donna, vita, libertà”, era stata questa la scritta riportata sul cartello con cui l’attrice Taraneh Alidoosti si era presentata senza velo davanti ai suoi oltre 8 milioni di follower di Instagram, in solidarietà con le manifestazioni anti-governative.

La famosa attrice, protagonista del film premio Oscar Il Cliente, Alidoosti, l’anno scorso aveva abbracciato la causa sin dall’inizio, promettendo di rimanere in Iran al fianco delle donne e delle famiglie che piangevano i loro giovani martiri. E, a proposito di cinema e diktat, la scorsa estate un manifesto con la foto di un’attrice senza velo ha portato le autorità iraniane a vietare un festival cinematografico a Teheran. A metà luglio, la polizia nazionale aveva annunciato di aver ripristinato le pattuglie della polizia morale per punire il crescente numero di donne che andavano per le strade senza hijab.

Censure e divieti che rappresentano l’ennesima mancanza di rispetto per le donne ed un ulteriore vituperio alle giovanissime martiri delle rivolte come Hadith Najafi, la ragazza divenuta simbolo delle proteste, a seguito di un video diventato virale, dove la ragazza, senza velo, si legava i capelli prima di una manifestazione. Tra le giovanissime martiri da ricordare Masooumeh, la quattordicenne che, una volta arrestata, finì in ospedale per via delle gravi lacerazioni vaginali che la portarono alla morte. Mahak Hashemi, la sedicenne assassinata a bastonate che la sfigurarono e le spezzarono la schiena. Nika Shakarami, la diciassettenne il cui corpo fu restituito ai parenti dopo dieci giorni.

Morti diverse ma unite dalla stessa barbarie e dalla stessa “colpa”: l’assenza del velo. Ma non è finita qui, ad oltraggiare ulteriormente la memoria di queste giovani martiri e di Masha Amini sono due vicende agghiaccianti che, ovviamente, hanno ancora le donne come protagoniste. Parliamo della sedicenne Armita Geravand e delle due giornaliste Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi. La prima, picchiata dalla sorveglianza della metropolitana di Teheran, è morta dopo 28 giorni di coma. La “pecca” della ragazza? Non aver indossato l’hijab. Le altre due donne, invece, sono state condannate rispettivamente a 13 e 12 anni di carcere, con l’accusa di aver collaborato con gli Stati Uniti sul caso di Mahsa Amini e di aver agito contro la sicurezza nazionale. Tutto questo a poco più di un anno dall’uccisione della ventiduenne iraniana.

Nemes Sicari, 29 ottobre 2023