“Siamo fatti per piacerci”, mi disse Gianroberto Casaleggio a proposito di Movimento 5 Stelle e Lega quando lo incontrai casualmente anni fa, a Milano, come autore di ChiareLettere, casa editrice che gli aveva affidato una consulenza per il web. Da allora ho seguito il filo del suo ragionamento, tanto che nel giugno del 2015 pubblicammo, proprio sul Tempo, la storia sul patto segreto tra Salvini e Grillo, seguita poi da altre dello stesso tenore negli anni successivi, tra lo scherno di tutti i più blasonati commentatori.
Casaleggio, visionario di destra, mi ha fatto riflettere sui temi comuni ai due schieramenti, dall’immigrazione al lavoro e al fisco, dalla normativa sul sistema bancario ai rapporti con l’Unione europea, dalla tutela dei risparmiatori ai vitalizi, ed anche sul rapporto di grande sintonia tra la base dei parlamentari leghisti e di quelli grillini, quasi tutti lontani dalle sirene e dalle lusinghe dei salotti romani.
Casaleggio, nella sua genialità, era soprattutto un sognatore. Ma un sognatore del potere, il primo a capire come trasformare le performance contro Enel, Telecom ed Eni di un burlone di talento, Beppe Grillo, in una straordinaria macchina di protesta: i famosi “Vaffa-day” che hanno fatto innamorare 11 milioni di italiani, pur con una classe dirigente senza storia ed esperienza, dalla Raggi all’Appendino, da Di Maio a Di Battista.
Nello stesso tempo, dall’altra parte, mentre Matteo Renzi continuava a macinare errori, cresceva un ragazzotto della borghesia milanese, Matteo Salvini, con buoni studi, una straordinaria forza fisica che gli permetteva, e gli permette ancora, di essere onnipresente e di stringere migliaia di mani al giorno, e con un sogno nel cassetto: fare della Lega Nord di Umberto Bossi, disastrata da scandali e scandaletti, un partito che riuscisse a prendere voti perfino al Sud, per esempio in Puglia, con l’intuizione di battere su temi sensibili come l’immigrazione, la burocrazia e le tasse che sono diventati l’incubo degli italiani.
Non potevano che piacersi, quindi, Lega e Cinque Stelle. Come tutti gli innamorati di questi tempi, hanno avuto un fidanzamento travagliato, con WhatsApp e filmati imbarazzanti, ma alla fine il collante del potere è stato più forte e già martedì entreranno trionfanti nei palazzi del potere.
Ma se Di Maio, che non è riuscito a vincere l’azzardo di arrivare a Palazzo Chigi, ha tutto l’interesse a conquistare la Farnesina e confrontarsi con le Cancellerie più importanti nel mondo, Matteo Salvini, al contrario, dovrebbe avere la forza di rimanere personalmente fuori dall’esecutivo, per rifondare il centrodestra, con i consigli di Silvio Berlusconi.
Entrare al governo è un rischio che al leader della Lega non conviene correre. Per quanto possa dispiacere, non solo Berlusconi ora si ritrova un delfino legittimato da 6 milioni di voti, proprio lui che un delfino non l’ha mai voluto, ma alcune delle personalità più vicine al Cavaliere, da Licia Ronzulli a Niccolò Ghedini e Paolo Romani, per non parlare di Giovanni Toti, sono convinte che ormai proprio Salvini sia la carta vincente per far trionfare il centrodestra alle prossime elezioni, considerato che con ogni probabilità il governo che sta nascendo, con un grillino all’economia, avrà una vita tortuosa.
A Berlusconi, nel crepuscolo della sua stagione politica, la grande soddisfazione di aver fatto rinascere il centrodestra e magari riuscire a portare Salvini su posizioni meno radicali sull’alleanza atlantica e l’Europa. A Salvini l’occasione unica di condizionare il governo con suoi uomini non solo nell’esecutivo ma anche nelle società partecipate, dalla Cassa Depositi e Prestiti fino alla Rai, senza il rischio di sporcarsi le mani. Di Maio, invece, non ha scelta: il governo, dopo una campagna elettorale straordinaria ed i mille errori del dopo voto, è l’unico modo per non far diventare il suo sogno e quello di Casaleggio un incubo.
Luigi Bisignani, 11 maggio 2018