Dopo il tracollo elettorale del 25 settembre, che ha portato la Lega di Matteo Salvini a dimezzare i propri voti rispetto al 2018, non sembra porsi la parola fine alle grane del segretario del Carroccio. Le dichiarazioni dell’ex presidente della Lombardia, Roberto Maroni, sul cambio di leadership; l’indiscrezione di numerosi quotidiani italiani, secondo i quali il Capitano vedrebbe sfumato il Viminale nel prossimo governo Meloni; il crollo elettorale nelle roccaforti Veneto e Lombardia: sono solo alcune delle questioni principali che ruotano attorno alla sede di Via Bellerio a Milano.
Dalla giornata di ieri, arriva un’altra brutta notizia, segno di un’oggettiva presenza di faide nel movimento: Umberto Bossi, il fondatore del partito, ha dato vita alla prima corrente leghista. È un ritorno alle origini: un Carroccio autonomista, secessionista, che ripone al centro il sogno dell’indipendentismo padano. E la riesumazione dei primi momenti della Lega sono chiari. Non è un caso, infatti, che la corrente prenderà il nome di “Comitato del Nord”, in ricordo di quel segmento politico, dal nome Lega Lombarda e Liga Veneta, che prenderà poi la denominazione di Lega Nord, a partire dal 1989.
L’obiettivo, spiega Bossi, rimane quello di “riconquistare tutti gli elettori del Nord, visto il risultato elettorale dello scorso 25 settembre”. Quasi immediata è stata la risposta della segretaria leghista, che pare cercare di stemperare le tensioni: “Questo governo sarà quello che attuerà l’autonomia delle Regioni che la Costituzione prevede”. E continua in una nota: “È nel programma del centrodestra, non costerà nulla. Anzi farà risparmiare milioni, avvicinerà i cittadini alla politica, taglierà sprechi e burocrazia”.
Nonostante tutto, a Bossi, l’idea di un partito capace di conquistare anche consensi al Sud, in grado di parlare ad una platea molto più estesa, che non riguardi solo gli autonomi e gli imprenditori lombardi o veneti, non sembra convincere. Sin dall’inizio della segreteria Salvini, l’obiettivo del Capitano fu quello di reinventare una Lega nazionale, con la formazione della corrente “Noi con Salvini”, corrispondente alla vecchia Lega Nord ma per il meridione; fino ad arrivare all’eliminazione delle parole “Nord” e “Padania” dal simbolo del partito. E la scelta pareva proprio aver giovato al Carroccio, almeno in termini elettorali.
La percentuale ottenuta da Salvini pochi giorni fa, infatti, avrebbe rappresentato un exploit per i tempi che furono, quelli di una Lega settentrionale e secessionista. Fatta eccezione una tornata elettorale, quella del 1996, dove Bossi riuscì a sfondare quota 10 per cento, i migliori risultati storici del Carroccio si devono riportare proprio alla guida Salvini. Il Capitano prese in mano un partito che, nel 2013, era martoriato dagli scandali e superava di poco il 4 per cento, per portarlo al 6 dopo un solo anno, fino ai trionfi delle Politiche 2018 e delle Europee 2019.
Quella Lega salviniana, capace di sfondare anche quota 34 per cento, è giunta al suo tramonto? Ancora presto per dirlo. Sicuramente, il lavoro che la coalizione di centrodestra dovrà compiere a Palazzo Chigi sarà decisivo. Ed è da qui che vedremo se il Carroccio riuscirà a tornare alle percentuali di tre anni fa, o se sarà destinato, per lungo tempo, a soccombere alla presidenza di Giorgia Meloni. Ad oggi, però, la leadership di Matteo Salvini non è assolutamente in discussione. La stessa Lega ha riposto “piena fiducia” al Capitano, il quale “continuerà ad avere un ruolo fondamentale”. Seppur timidamente, però, cominciano a manifestarsi i primi mugugni interni.
Matteo Milanesi, 2 ottobre 2022