Prima dell’invasione, Vladimir Putin aveva tre richieste: 1) smilitarizzazione dell’Ucraina, 2) garanzie formali che essa mai sarebbe entrata nella Nato, 3) riconoscimento della Crimea nella Federazione russa. Non v’era ancora il riconoscimento delle repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk, visto che la stessa Russia le riconosceva solo nel febbraio 2022, due giorni prima l’invasione, quando al punto 2) aggiungeva la richiesta del ritiro della Nato anche da tutti i Paesi a est della Germania, cosa che fu giudicata irricevibile. E, naturalmente, al punto 3) ha aggiunto le pretese sul Donbass che, russofono, era stato vittima di operazioni di pulizia etnica da parte di una classe dirigente ucraina, a suo dire, nazistoide e illegalmente al potere. È un peccato che, almeno a livello mediatico, non si sia dato un risalto puntuale e approfondito a ciascuna delle questioni appena dette e invece si sia insistito, devo dire in modo morboso, su raccapriccianti fatti di cronaca di guerra dipingendo in modo manicheo Putin brutto, sporco e cattivo e Volodymyr Zelensky il suo opposto.
Il campanello d’allarme
Limitandoci qui alla questione Crimea, il primo campanello d’allarme sulla narrazione occidentale suonò quando lessi un lungo articolo del 12 luglio 2021 di Putin, titolato «Sulla storica unità di russi e ucraini», ove il presidente russo lamenta che «nel 1954 la Crimea fu ceduta illegalmente dalla Repubblica sovietica russa alla Repubblica sovietica ucraina» e che «quando l’Urss si sciolse nel 1991, le sue Repubbliche sarebbero dovute rientrare nei territori originali che avevano quando, nel 1922, entrarono nell’Unione». In buona sostanza, l’Ucraina non possedeva la Crimea nel 1922 (che era una delle Repubbliche dell’Unione) e che nel 1945, in seguito alle ridefinizioni territoriali post-belliche, fu incorporata nella Repubblica russa, e lì fu fino al 1954, quando la fatale cessione.
La versione di Putin
Naturalmente non avevo dato sùbito per buona la versione di Putin, e avevo cercato conferma indipendente della cosa. Che sembrava confermata, tanto più che il Parlamento russo, già nel 1992 aveva chiesto al Presidente di allora, Boris Yeltsin, di risolvere la questione-Crimea. Diversi documenti erano concordi nel riferire i fatti come segue. Era stato Nikita Krushev (la cui moglie era ucraina) nel 1954 a donare la Crimea all’Ucraina in occasione del tricentenario di commemorazione del Trattato di Pereyaslav, che nel 1654 sanciva la riunificazione tra Russia e Ucraina. Anzi, per dirla tutta, con quel trattato l’Ucraina si sottometteva, anche se di buon grado, alla Russia. Tuttavia, all’interno dell’Urss quella donazione era, di fatto, un atto puramente simbolico che, comunque, secondo la Costituzione Sovietica, avrebbe dovuto essere confermato da un consenso delle Repubbliche sovietiche coinvolte, consenso che mai sarebbe stato dato. A quanto pare le cose, invece, non andarono proprio così.
Le parole della nipote di Krushev
Recentemente m’è suonato un altro campanello d’allarme, quando, ospite di Lilli Gruber a Otto&mezzo, Nina Krusheva (nipote di Krushev e professore di Politiche internazionali alla New School University di New York) a Lucio Caracciolo (direttore della rivista di geopolitica Limes) che le chiedeva perché il nonno avesse donato la Crimea all’Ucraina (quindi anche Caracciolo conosceva le cose come pensavamo tutti di conoscerle), ha così risposto: «la Crimea ha sempre fatto parte della Repubblica Russa, non è vero che Krushev (che, secondo le parole della nipote, a quel tempo non era neanche al potere) la donò all’Ucraina e non esistono documenti firmati da Krushev in proposito». La cosa che mi ha lasciato di sasso è stata l’imperturbabilità della Gruber e dei suoi ospiti (Beppe Severgnini e Marco Travaglio): la Krusheva stava inequivocabilmente dicendo che la Crimea è stata sempre russa e quindi, consequenzialmente, in punto di diritto, Putin avrebbe ragione. Insomma, quello della Crimea è uno dei tre nodi cruciali di rischio di Terza guerra mondiale e nessuno sobbalzava sulla propria sedia?
Senonché le cose sembrano non stare esattamente neanche come dice la Krusheva. Intanto, Yosef Stalin moriva nel marzo 1953 e Krushev diveniva segretario del Partito già nel settembre di quello stesso anno; per cui nel 1954 egli era alle vette del potere e il trasferimento della Crimea dalla Russia all’Ucraina non poteva essere avvenuto senza che Krushev vi fosse coinvolto. In ogni caso, quel trasferimento avvenne, e in piena regola. Putin sostiene che fu illegale perché l’art. 18 della Costituzione sovietica del 1936 recita che «il territorio di una Repubblica dell’Unione non può essere alterato senza la sua approvazione».
Putin ha torto?
La Krusheva ometteva di dire che su quest’ultimo punto vi sono alcuni inequivocabili documenti. 1) Il decreto del 5 febbraio 1954 del Consiglio dei Ministri della Russia che «caldeggia il trasferimento della Crimea all’Ucraina e chiede al Presidio del Supremo Soviet Russo di emanare apposito decreto in proposito». 2) Il decreto del 13 febbraio del Presidio del Supremo Soviet Ucraino che «caldeggia» la stessa cosa ed esprime la «sincera gratitudine e approvazione del popolo ucraino» per quel gesto, «quale manifestazione di attenzione all’ulteriore rafforzamento (sic!) dell’indissolubile legame di amicizia e fratellanza tra i popoli russo e ucraino, e chiede al Presidio del Supremo Soviet Russo di procedere con quel trasferimento». Infine, 3) v’è il verbale della riunione del 19 febbraio del Supremo Soviet Russo ove – alla fine di lungo e acceso dibattito, interessantissimo da leggere ma che vi risparmio – c’è l’approvazione unanime (né contrari né astenuti) del fatale trasferimento. Insomma, salvo che i latitanti esperti non offrano qualificato e motivato parere giuridico, sembra che Putin abbia torto quando afferma che la donazione della Crimea all’Ucraina fu illegale.
E sembra insussistente anche invocare il principio secondo cui le Repubbliche dell’Unione, una volta questa disciolta, sarebbero dovute rientrare nei territori che avevano al momento dell’adesione all’Unione medesima: quando nel dicembre 1991 i Presidenti di Bielorussia, Ucraina e Russia sciolsero l’Unione, Boris Yeltsin (che rappresentava la Russia) accettava la Crimea entro i confini ucraini. È vero che l’anno dopo il Parlamento russo chiedeva conto a Yeltsin di quella supina accettazione, tuttavia, nel dicembre 1994, col Memorandum di Budapest, finalizzato a stabilire l’Ucraina quale Stato non-nucleare, questa cedeva alla Russia le sue 1900 testate nucleari e riceveva in cambio garanzie d’indipendenza e integrità territoriale.
V’è, sul punto, ancora un argomento a favore di Putin? Sembra di sì. La secessione della Crimea avvenne nel 2014, in conseguenza di un referendum, a sua volta conseguente al rovesciamento di piazza di un presidente (Viktor Yanukovich) legittimamente eletto. Quello successivo (Petro Poroshenko) avviò politiche di discriminazioni contro la minoranza russa (che in Crimea – come nel Donbass – è larga maggioranza), rendendo anche illegali alcuni partiti politici di riferimento di quella minoranza. Indagare in modo puntuale su queste altre istanze di Putin – ed eventualmente inchiodarlo ai suoi torti, ove sussistano – forse sarebbe stato molto meglio dell’invio di armi ad una delle parti contendenti. Che non è il popolo ucraino, ma la classe dirigente del Paese che non ha saputo come trattare la pace ed evitare al proprio popolo sofferenze che non merita.
Franco Battaglia, 3 maggio 2022