Alla larga dall’unione fiscale! Lo so, la parola – al primo ascolto – sembra suonar bene: “armonizzazione”. E – sempre a un orecchio distratto – può apparire ragionevole l’idea che in un grande blocco, com’è l’Ue dei 27, il sistema fiscale sia omogeneo e unico. E invece no. Anzi: no, no, no, per usare anche noi – piccoli piccoli – la triplice negazione della grandissima Margaret Thatcher.
E perché no? Perché esistono due modelli alternativi. Da un lato, ed è ciò che piace ai fautori dell’armonizzazione, c’è l’idea di un sistema fiscale (e quindi di bilancio) unico, dalla Finlandia al Portogallo, dalla Germania alla Grecia. Dall’altro, ed è invece quello che i liberali dovrebbero preferire, un sistema di competizione fiscale, in cui ciascuno corra liberamente per rendere il proprio territorio più attraente per le risorse e gli investimenti.
In un sistema di competizione fiscale, viene premiato chi abbassa le tasse e alleggerisce la regolazione. Non solo: quel paese fungerà inevitabilmente da modello per gli altri, che saranno virtuosamente costretti a imitarlo. Nei sistemi di armonizzazione, invece, è fatale che l’omogeneizzazione avvenga a livelli piuttosto elevati di tassazione e di regolazione. Con il “brillante” risultato di mettere fuori competizione un intero continente, appesantito dagli oneri fiscali e di regolazione.
Non solo. Gli effetti collaterali negativi non finirebbero più: se costruisci un bilancio unico, è fatale che sempre più decisioni saranno centralizzate a Bruxelles, allontanandole dalle sedi decisionali più vicine ai cittadini, e imponendo un pilota automatico centralizzato ai 27 governi e ai 27 parlamenti, a quel punto svuotati e ridotti a meri simulacri. Di più: con un bilancio unico, sarebbe giocoforza la creazione di “tasse europee”, ovviamente aggiuntive. Siete proprio sicuri che questa nuova gabbia sia desiderabile?