Cronaca

L’ennesimo delirio gender: arrivano le “etichette inclusive”

Il circolo Lgbtqia+ di Bologna lancia una nuova idea figlia del controllo totalitario di stampo comunista

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Il Cassero è un circolo omosessuale bolognese evoluto in fucina gender la cui fama si deve ad una assonanza goliardica fin troppo facile, platealmente volgare; diciamo pure una lobby cresciuta nella venerazione di Mario Mieli, personaggio borderline che riposa in fama di santità a dispetto di proclami come «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica».

Curiosamente un soggetto con simili convinzioni è stato santificato dalla magistratura che tuttora persegue chi si permette di ricordarne i deliri; un po’ come per il Manifesto di Ventotene, le cui aberrazioni ricadono su chi le conosce, le ricorda. Forse perché Mario Mieli poteva serenamente dire assurdità fanatiche ma assai poco innocenti quali “io sono e sarò sempre più marxista, proprio perché sono dalla parte del giusto, del vero bene”. Dalla parte del vero, bene, questo Cassero ha licenziato anche lui il suo bravo Manifesto con cui intende “mettere per iscritto valori e pratiche che hanno caratterizzato i primi dieci anni di attività della Gilda, il gruppo ludico del Cassero LGBTQIA+ center di Bologna”; e già la prosodia, se uno se l’immagina letta a voce viva, è indice di una agghiacciante confusione multilivello.

“Giocare è un atto politico” predica questo Manifesto del Cassero e subito vengono in mente quei giochini noiosissimi, vittimisti, vintage, legno e cartone, tempere e velleità per infanti che ogni tanto i Comuni progressisti apparecchiano nei centri storici a significare che il gioco è di sinistra, è rivoluzionario, è pauperista, è contro il capitalismo, è attività rivoluzionaria e tutte le altre solenni cazzate del populismo veterocomunista. Qui però si allude ad altro, si va a parare molto altrove, molto oltre: una propaganda forsennata, ossessiva per coltivare un’idea di equità gender, quindi una didattica specifica dietro la parvenza o con lo strumento del gioco. Ci sono nel Manifesto cassaro certi passaggi allucinanti, puntualmente avvolti dal fumo di un linguaggio strategicamente vago, al limite del patetico: dal gioco come “riappropriazione del diritto al piacere”, ai “personaggia (non è un refuso, è la solita vocale capovolta) libera da stereotipi e sovradeterminazioni”, fino al “maschile sovraesteso che designa un maschio cisgender” e siamo già al criptico, oltre le colonne d’Ercola del surrealismo, oltre il dada del Monte Verità, oltre la scomparsa di qualsiasi articolazione razionale: “Se la lingua veicola, accoglie e contempla la nostra esistenza e non la relega sullo sfondo, allora la nostra presenza si fa più concreta e pervasiva”.

È il linguaggio finto complesso, falsamente articolato, il codice maligno che maschera una alienazione spaventosa e potenzialmente capace di qualsiasi aberrazione. E le aberrazioni infatti arrivano: circola uno spottino su Instagram con alcuni tipi improbabili, esasperatamente genderizzati, gaiamente parossistici, che sempre all’insegna del gioco predicano, ossia impongono, certe etichette “con nomi e pronomi” ad una fiera ludica del Cassero. Etichette, cioè schedature. L’intento dichiarato è quello di incrementare il rispetto, fosse mai che uno ad un ragazzo dà del lui e ad una fanciulla la chiama “lei”, no no, per carità, i termini vanno quanto meno invertiti, meglio ancora lasciati al possibilismo capriccioso; l’intento reale, coperto, è però il controllo totalitario da regime comunista, l’identificazione invertita nel suo opposto, la totale libertà da qualsiasi catalogazione, la schedatura nuda e cruda.

Agghiacciante, più che aberrante. Certo, a vedere certi perditempo oscillare senza misura vien da ridere: ma se uno appena appena drizza le antenne, si accorge che non c’è niente per cui divertirsi, anzi la faccenda è inquietante: o per totale distacco dal senso di realtà, o, viceversa, per un concretissimo quanto perverso intento di irregimentare, di plagiare, di allevare alla religione dell’indefinito ma controllato, dell’irrisolto narcisistico, dell’irresoluto determinato ad imporre la confusione esistenziale dentro la Gilda, dentro il Cassero, ma soprattutto all’esterno, a quel mondo idealizzato che questa setta sogna, o insegue. “Ma tesorino bello, te lo spieghiamo noi: indossare le etichette, anche se a te sembra superfluo, manda in realtà un messaggio di inclusione e rispetto”.

Di inclusione senz’altro, così come si include un carcerato, uno passato all’archivio delle impronte digitali. I cascami della critica omosessuale marxista (storicamente un ossimoro, ma tant’è), dall’approccio sessualmente anarcoide contro lo schematismo, la monodimensionalità, che predicano le etichette, i documenti di coscienza, i nomi e pronomi, in una contraddizione spaventosa: la genericità della sfuggevolezza, della indefinitezza che pretende di omogeneizzare tutti, che racchiude tutti, definisce tutti; la libertà di essere ciò che non si è, che si pretende di essere, volta a stritolare non solo chi si riconosce in chi effettivamente, naturalmente è, ma, addirittura, chi non sa letteralmente chi essere. Te lo dicono loro tesorino bello chi sei, chi devi essere, in una nuvola vaporosa rosa, con la scusa del gioco che è un atto politico; mentre qui, se mai, è questione di politica ludica ma per finta, è politica totalitaria.

Questa gente sembra oscillante, vacua, incompiuta, ma è pericolosa, ha dietro burattinai molto lucidi, estremamente pericolosi.

Max Del Papa, 2 aprile 2025

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