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L’eredità di Andrea Agnelli: così finisce la storia della Juventus

Vittima della propria passione, ha trasformato una nave da crociera in una barca alla deriva

Damascelli Agnelli

“La Juventus? È qualcosa per la domenica”. Gianni Agnelli teneva strette le mani nei baveri di un lussuoso doppiopetto e così scriveva la didascalia sulla squadra di calcio, la sua squadra, la Juventus, il suo piacere e quello riservato ai lavoratori della Fiat, dopo i travagli di una settimana nella “Feroce”, come veniva da loro chiamata la Fabbrica Italiana Automobili Torino.

Quel tempo è lontanissimo, scomparso l’Avvocato, con lui il fratello Umberto, altro artefice della leggenda centenaria del club, una esclusiva di nessun altra squadra e famiglia al mondo, la Juventus ha esaurito la propria storia fascinosa, affidata a un erede, il solo che porta ancora il cognome araldico d’origine, Andrea Agnelli, vittima della propria passione, diversa da quella del padre e dello zio, prigioniero di un sogno non soltanto sportivo, vittima di un progetto faraonico, intossicato da una pericolosa gestione finanziaria, un arrembaggio scriteriato che ha trasformato una nave da crociera in una barca alla deriva. Dico del bilancio, dico dei conti, dico di una vicenda giudiziaria senza precedenti per la stessa famiglia di riferimento.

La dinastia prosegue tra nipoti e affini che hanno altre priorità e interessi che non il football e la Juventus, i ripetuti finanziamenti non hanno più ragione in un sistema nel quale i fondi di investimento, gli investitori stranieri hanno preso il sopravvento sugli imprenditori locali, destinando il mecenatismo ai libri di storia. Un quadro affine a quello di Fiat, passata da un periodo florido, sotto l’ingegnere Ghidella, con l’occupazione di mercato auto pari al 50 per cento in Italia e al 15 nel resto del mondo, alla drammatica crisi segnata dalla coppia Romiti-Cantarella, per risalire con Sergio Marchionne, individuato da Umberto Agnelli e primo manager a non dovere fare i conti con l’Avvocato.

Torno a Juventus. Accadde un giorno, a Londra, in occasione della riunione dell’AUME, acronimo di associazione dell’unione monetaria europea di cui Gianni Agnelli era vicepresidente. Intrattenendosi con i giornalisti, l’Avvocato spiegò che la nuova dirigenza della Juventus, che faceva capo al fratello Umberto e contava sull’esperienza e la personalità di Antonio Giraudo come amministratore delegato, aveva finalmente trasformato la stessa Juventus da sofferenza contabile a business fertile. L’epoca Boniperti aveva visto da una parte gli ottimi risultati tecnici della squadra ma non un’analoga salute contabile, la società era al sesto posto tra i club di serie A come fatturato, 49 i miliardi di lire ma con un monte debiti doppio. La svolta di Umberto Agnelli e del suo staff dirigenziale lanciò la Juventus al terzo posto del fatturato (280 milioni di euro, al vecchio conio 560 miliardi di lire) nello scenario europeo, alle spalle di Real Madrid e Manchester United.

Venticinque anni dopo, Stellantis è la realtà nuova dell’impresa automobilistica, in campo sportivo la situazione societaria si è ribaltata, la Juventus, reduce da dieci anni irripetibili, è tornata sofferenza, il business è precipitato tra clamorosi debiti e perdite patrimoniali mai registrate in cento anni di storia, la dirigenza è sotto inchiesta giudiziaria. Il futuro è nella testa dell’azionista di riferimento, John Elkann.

Tony Damascelli, 20 dicembre 2022

(continua)