Circola spesso, nei pedanti dibattiti sul presunto obbligo morale di dichiararsi antifascisti o anticomunisti, una distinzione sospetta. Chi tentenna nel dirsi anticomunista lo fa sovente invocando una differenza tra il comunismo sovietico e una presunta versione “italica” dello stesso. Gli affezionati lettori ci perdoneranno se torniamo su questi argomenti così eccessivamente masticati, ma una simile stortura di pensiero è degna di alcune considerazioni inattuali.
Ebbene, il “comunismo italiano” di cui molti vanno fieramente disquisendo probabilmente non è mai esistito. Di comunismo, inteso come ideologia basata sulla dottrina marxiana poi evolutasi in una forma di totalitarismo politico e capitalismo monopolistico di stato in senso economico, ve n’è sempre stato uno e uno soltanto.
Il credo filosofico di Marx ed Engels, mai realizzatosi pienamente in Europa, trovò la sua concretizzazione estremizzata e deviata in Russia attraverso Lenin.
La dittatura del proletariato divenne dittatura del partito e poi, con Stalin, di un unico leader. Dopo la morte del sanguinario baffuto, che seguì alla vittoria dell’Armata Rossa sulla Germania nazista, si susseguirono diversi leader del partito centrale fino alla crisi negli anni ’70 e alla successiva dissoluzione del comunismo nel 1989.
I partiti comunisti dei diversi paesi europei, in particolare Francia e Italia, non furono che dirette emanazioni della matrice originale russa.
Palmiro Togliatti condivideva con Stalin un’assoluta aderenza di vedute, essendo egli stesso un efficiente esecutore della linea politica moscovita. Non a caso in Russia, nei pressi del Volga, esiste ancora una città chiamata proprio “Togliatti”.
Luigi Longo, successore del succitato alla guida del partito, non era meno zelante nell’eseguire la volontà di Mosca. Per cui, dalle sue origini e dunque nella sua stessa essenza, il PCI italiano rispondeva alle stesse logiche che muovevano il suo grande padre russo. Uno strappo ci fu, sì. Dopo che i carri armati sovietici nel 1968 invasero la Cecoslovacchia per soffocare i moti di ribellione una parte, non tutti, dei dirigenti comunisti italiani siglarono un documento per esprimere il loro dissenso dall’azione militare. Da questo momento i partiti comunisti europei tentarono di concepire una forma di comunismo “edulcorata” dalla sua brutalità staliniana.
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Una forma politica socialista che però non avesse i connotati della dittatura. Non vi riuscirono mai. Le spaccature si fecero più profonde solo con il progredire della crisi che il comunismo sovietico stava attraversando e che si fece manifesta con la disastrosa invasione russa dell’Afghanistan del 1979.
In pratica, i comunisti europei fuggirono da una nave che imbarcava parecchia acqua.
Il cosiddetto “Eurocomunismo” altro non era se non un tentativo di trasformare il comunismo reale in una specie di socialdemocrazia, annullandone la componente dittatoriale e condendolo con dosi di pacifismo che nulla hanno a che vedere col marxismo originario. Basta leggere le opere di Lenin per comprendere quanto la guerra sia una necessità vitale per lo sviluppo di uno stato interamente socialista. Niente materialismo storico o dialettico, niente uso della violenza, pluralismo politico, garanzie di libertà. Tutto meno che comunismo. In effetti non si è mai ben capito cosa fosse questa alternativa.
Forse è in questo che si rispecchiano coloro che non si dichiarano anticomunisti e che inneggiano al “comunismo all’italiana”: nel nulla. In un guazzabuglio di idee confuse che, ripetiamo, avevano già abbandonato da tempo, per ragioni storiche e pratiche, la forma del Comunismo originario. Se si fosse noi dei leninisti duri e puri lo si potrebbe considerare persino una forma di bieco revisionismo. Per cui, quando si parla di comunismo italiano si parla del nulla.
Di qualcosa che non è mai esistito. Una forma di strano socialismo senza un’idea chiara, generato quando il Comunismo serio e potente cominciava a puzzare di morto. Dopotutto, ricordiamoci, in Italia non nasce mai niente di nuovo. Semmai si rimaneggia maldestramente quello che arriva da fuori. Per l’appunto, all’italiana.
Francesco Teodori, 26 gennaio 2024
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