Nei libri di storia sicuramente no, ma nei manuali di politologia molto probabilmente sì. Quello di Enrico Letta è infatti un case study perfetto: come prendere legnate a destra e manca, sbagliarle tutte, mettersi con le proprie mani in un vicolo cieco, affermare tutto e il contrario di tutto in maniera così evidente da far incazzare i compagni e far sussultare nella tomba il cadavere di Palmiro Togliatti che l’ambiguità l’aveva eretta a sistema ma con tutt’altra finezza.
Intanto ieri, fra le due piazze (come il letto che costringe Letta ormai a dormire sul pavimento), si è capito finalmente cosa sia il “campo largo” per il quale il segretario si è prodigato così tanto fino a gettare il guanto: un ring ove tutti fanno a pugni e lui le prende a destra e a manca. Le prende dai militanti, che, come in una nemesi storica, lo costringono a ripararsi apostrofandolo come fascista.
Le prende da Calenda, che accusa quel Conte a cui fa le corte per averlo come alleato alle prossime regionali di essere “qualunquista, fascista, di destra e amico di Trump”. Le prende da Conte stesso, che, come un Fregoli, ha tolto la pochette e si è vestito da Masaniello, e che ora lo guarda dall’alto in basso e dice che lui pure si alleerebbe coi piddini ma solo se o quando il segretario andrà via (cioè non prima della prossima primavera). E le prende, almeno metaforicamente (sono persone di poche parole), da quegli atlantisti ed europeisti del deep state che fino a ieri lo consideravano un loro riferimento e che ora lo vedono sfilare con quelli che gridano contro la Nato e vogliono togliere le armi per difendersi all’Ucraina.
E hai voglia a specificare che tu non hai cambiato idea, sei sempre per l’Ucraina, ma poi anche per la pace, e poi anche…. Una cosa è sicuro: se mai Letta tornerà a Science Po, vi tornerà come caso di studio prima che come professore.
Corrado Ocone, 6 novembre 2022