Non spaventatevi se ciò che leggerete in queste righe è qualche cosa oggigiorno di impopolare (all’apparenza). Tanto impopolare quanto però importante per guidare le scelte tecnologiche del futuro rispettando e difendendo le economie. In particolar modo quella italiana con le filiere automotive costruite lungo la interna nostra penisola in questi anni e che da qui servono le più grandi, blasonate e conosciute case automobilistiche di tutta Europa con la loro componentistica.
È recente la notizia che l’Europa vuole arrivare nel 2035, quindi in 14 (quasi 13 anni), a emissioni zero con le automobili, convertendo così tutti i mezzi all’elettrico. Una notizia sicuramente entusiasmante per l’opinione pubblica!
Tutti noi lavoriamo ogni giorno con impegno e sacrificio per rendere il nostro lavoro sempre più “green”, più verde, senza dimenticare però da dove partiamo ed i tempi necessari per attuare una sana transizione ecologica.
Tempi troppo brevi per una riconversione
Rimanendo pragmatici è innanzitutto impossibile pensare di riuscire a strumentare tutte le nostre arterie stradali e autostradali in 13 anni per renderle fruibili ai mezzi elettrici. In numeri, abbiamo una rete stradale (strade statali, regionali, provinciali, comunali) di 837.493 km e una rete autostradale di 6.757 km. Impossibile strumentarla e impossibile pensare che la rete elettrica possa assorbire richieste di carichi energetici di queste dimensioni. L’infrastruttura non è adeguata.
Questo è comunque il “problema minore” che il nostro Paese si troverà a fronteggiare e affrontare se si confermerà la linea dello stop alla produzione di auto a benzina, diesel e metano. In soli 13 anni dovremo pensare di convertire un immenso settore di produzione, che in Europa parla Italiano. Programmare un phase out di un comparto produttivo di questa magnitudo non si può pensare di farlo sulla base di proclami e comunicati. Un processo che condivido, ma che necessita di tempi e di metodi diversi rispetto a quelli che conosciamo e siamo abituati a vedere e sentire.
Questo approccio rischia di creare forti scompensi sociali nel nostro Paese che, come dicevo poche righe sopra, è la fabbrica d’Europa per la componentistica automobilistica delle auto “tradizionali”. Il 2035 non è un tempo tale da permettere alle aziende di creare una filiera produttiva alternativa atta a convertire le produzioni. Riqualificazione che sarebbe stata possibile raggiungere se la deadline fosse stata al 2050 come da precedenti linee programmatiche.
Posti di lavoro persi
In numeri l’emorragia si attesterà in 73.000 posti di lavoro persi nella galassia delle 2.203 imprese produttrici di componentistica automotive, con conseguenti drammi per persone e famiglie, con il concreto rischio di un aumento della povertà.
Ricordo, inoltre, che dopo Cop26 di Glasgow l’Italia non ha firmato il documento finale sullo stop alla produzione di motori termici in Europa. Questo non perché non ci sia la volontà politica di dare seguito a un processo già avviato per raggiungere un impatto zero di emissioni in atmosfera, ma perché è assolutamente necessario fare i conti con la realtà.
Che seppur brutta è questa e i molti investimenti necessari che saranno a carico delle imprese e imprenditori privati richiedono del tempo.
Il piano Carbon Free deve avere un respiro più ampio. Se non ci sarà una visione condivisa dalla Cina agli Stati Uniti il concreto rischio sarà quello di avere in primis una Italia, e poi anche una Europa, sì con zero emissione di CO2 ma anche con un aumentato livello di disoccupazione e un comunque inarrestabile innalzamento dei livelli di inquinamento globali con il relativo incremento delle temperature.
Come si dice in inglese siamo una “drop in the ocean”, una goccia nell’oceano.
Ripeto: è sicuramente impopolare dirlo ma questo programma se così pensato non può oggettivamente funzionare. E abbiamo il dovere di essere oggettivi in questo caso! Il podio va alla Cina con un totale di 9.838.754.028,00 tonnellate di C02 emesse in atmosfera, seguita con grande distacco dagli Stati Uniti, in seconda posizione, con 5.269.529.513,00 tonnellate.
La prima nazione Europea è la Germania che si attesta in 6° posizione. E poi si fa un salto fino al 18° posto con la Francia. Siamo davvero sicuri che il problema sia l’Italia…o l’Europa? Siamo davvero sicuri di voler sacrificare un comparto così importante per l’economia Nazionale?
Ciò che dovremo fare è invece una operazione di forzatura verso i Paesi che veramente stanno contribuendo alla malattia del pianeta Terra, senza dimenticare la nostra direzione green, attuandola in tempi e modi ragionevoli, e oggettivamente realizzabili.
Per merito di tutti noi e della lungimiranza che ci ha contraddistinto nelle azioni che hanno radici lontane nel tempo, il problema NON siamo noi! Pur essendo i più virtuosi rischiamo di pagare il prezzo più alto.
Giordano Riello, 21 dicembre 2021