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L’Europa “vieta” la tregua, ma è in panne sul petrolio

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Slitta ancora il sesto panchetto di sanzioni occidentali contro la Russia. Nel vertice di ieri pomeriggio, tenuto dai rappresentanti degli Stati membri, non è ancora stato raggiunto l’accordo sull’embargo al petrolio di Mosca.

L’Ungheria di Orban, infatti, ha mantenuto la sua originaria posizione: le sanzioni a greggio e gas russo “costituiscono una linea rossa” per Budapest. Il contesto può essere ben spiegato dai dati. A differenza degli altri Paesi Ue, il portavoce del ministro degli Esteri, Zoltan Kovacs, ha specificato come l’Ungheria dipenda dall’85 per cento dal gas di Mosca e dal 65 per cento dal petrolio russo; cifre che, di fatto, non permettono allo Stato di svincolarsi immediatamente dalla dipendenza di Putin.

Seppur fortemente vincolata alle esportazioni del Cremlino, la stessa Ue sta cercando di superare l’ostacolo Orban, il quale, in assenza del voto ungherese, sta bloccando il via libera al nuovo pacchetto sanzionatorio.

Ma ci sono almeno due aspetti cruciali da analizzare.

1. Il primo: l’Ue, nonostante cifre che rimangono stabilmente alte, è vincolata al Cremlino per il 40 per cento delle proprie importazioni, se si parla di gas, e per il 25, se si prende in considerazione il greggio di Mosca. Valori sicuramente notevoli, ma non paragonabili a quelli di Budapest.

Reuters (agenzia di stampa britannica) ha ben spiegato come l’Ungheria non potrà mai sottrarsi alle esportazioni russe, almeno nel breve termine. Questo non perché Orban è un “dittatore” o un “sabotatore”, ma per il semplice fatto che le cifre, come abbiamo visto, non permetterebbero il distacco dalle risorse di Mosca, se non con un prezzo altissimo, da pagare dal tessuto imprenditoriale e dalle famiglie ungheresi.

Sempre Reuters ha calcolato come Budapest abbia bisogno di almeno un triennio per diventare indipendente dal gas e dal petrolio di Mosca, un arco temporale superiore al doppio rispetto a quello prefigurato da Bruxelles. A ciò, dovrebbero affiancarsi i lavori di espansione degli oleodotti, oltre ad un nuovo piano di costruzione delle raffinerie, che sfiorerebbe la cifra di un miliardo di euro.

2. E qui arriviamo al secondo punto. Orban sta facendo il proprio interesse nazionale, così come molti altri Paesi Ue, restii ad applicare sanzioni nel proprio campo di maggiore dipendenza da Mosca. Prima, la Germania e l’Italia sulla questione del gas; oggi, l’Ungheria sul greggio. Il tema è decisamente più complicato rispetto alla narrazione mainstream: non si può obbligare un Paese a distaccarsi dalle sue risorse vitali, senza averlo accompagnato ed aiutato attraverso un processo di indipendenza.

In settimana, i leader Ue dovrebbero nuovamente unirsi per risolvere la questione e per tentare, ancora una volta, di convincere Budapest ad adottare un approccio maggiormente distaccato, da quello che è un suo asset strategico, fortemente dipendente dall’esterno.

Nel frattempo, le istituzioni comunitarie sembrano essere concordi solo su un aspetto: il lato militare. La bozza del vertice Ue, infatti, ha garantito l’invio di nuove armi militari a Kiev, specificando come l’Europa rimane “impegnata a rafforzare la capacità dell’Ucraina nella difesa dell’integrità e della sovranità territoriale”.

Il recente bollino di guerra, però, non sembra voltare a favore della resistenza. I russi, infatti, hanno consolidato i territori acquisiti nella regione del Donbass; Severodonetsk sta per cadere, mentre proseguono incessantemente i bombardamenti sulla città portuale di Odessa.

Se, a fronte della perdita di cento unità, l’esercito russo le può tranquillamente sostituire con altre pedine, questo non si può dire per la resistenza ucraina. Ogni soldato perso rappresenta una vittoria per Mosca ed una sconfitta per Kiev, con una difesa sempre più in difficoltà ed allo strenuo.

Fino a quando l’Ucraina potrà resistere? Fino a quando l’Europa proseguirà nella politica di sostegno militare del governo Zelensky? Ad oggi, le domande non trovano ancora una risposta. L’unico dato di fatto rimane la confusione, il dubbio, il veto dell’Ue, quando la guerra comincia a toccare i propri interessi. Gas e petrolio ne sanno qualcosa.

Matteo Milanesi, 30 maggio 2022