Lo scorso 30 luglio, la Lega ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea nell’ambito del Parlamento Ue. Le premesse erano fondate: “Tra le indiscrezioni in merito alle raccomandazioni dell’Unione europea all’Italia c’è anche una modifica delle tasse sulla casa”, si legge nell’interrogazione, a firma dell’on. Silvia Sardone. Che così proseguiva: “Le raccomandazioni dell’Ue pubblicate a seguito dell’ultima riunione dell’Ecofin dell’anno scorso segnalavano che l’esenzione dell’Imu sull’abitazione principale (prima casa) non è molto apprezzata.
La sensazione è che la Commissione non valuti positivamente questa esenzione ma anche il fatto che non sia stato introdotto un meccanismo impositivo progressivo sul mattone in base al reddito familiare”. Quindi le tre domande: “Si chiede alla Commissione: 1. se intende chiedere all’Italia di ripristinare la tassa sull’abitazione principale; 2. se tra le sue richieste all’Italia ci sia l’introduzione di una patrimoniale; 3. di indicare la sua posizione sulla fiscalità in Italia”.
Due giorni fa, il 15 ottobre, è arrivata la risposta della Commissione, comunicata dal Commissario all’Economia Paolo Gentiloni. “Il documento di lavoro dei servizi della Commissione ‘Relazione per Paese relativa all’Italia 2020’ – si legge – comprende un’analisi del sistema fiscale italiano. Nel complesso, i principali problemi individuati dalla Commissione sono l’elevato carico fiscale che grava sul lavoro e l’elevato livello di evasione fiscale. L’analisi dimostra che, abolendo l’esenzione dell’Imu sull’abitazione principale (con diversi gradi di progressività) e utilizzando le entrate supplementari per ridurre la tassazione sul lavoro, si fornirebbero maggiori incentivi a lavorare, determinando ripercussioni positive sulla crescita economica.
Le raccomandazioni specifiche per paese rivolte all’Italia dal 2012 al 2019 nell’ambito del semestre europeo, adottate dal Consiglio in base a una proposta della Commissione, consigliavano di trasferire il carico fiscale dal lavoro verso imposte meno penalizzanti per la crescita, come quelle sul patrimonio. Le raccomandazioni formulate nell’ambito del semestre europeo 2017 specificavano che quest’obiettivo doveva essere raggiunto anche ‘con la reintroduzione dell’imposta sulla prima casa a carico delle famiglie con reddito elevato’. Le raccomandazioni specifiche per paese relative all’Italia non contengono riferimenti a imposte patrimoniali aggiuntive”.
Abbiamo riportato integralmente la risposta della Commissione per consentire a chi legge di farsi un’idea compiuta della questione, vista anche la successiva (mezza) smentita. I documenti da tenere presenti, però, sono anche altri. In primis, quello citato nella parte iniziale della replica, vale a dire la “Relazione per Paese relativa all’Italia 2020”. In esso, si legge fra l’altro la seguente affermazione: “Vi è margine per aumentare il gettito delle imposte patrimoniali ricorrenti e aggiornare la corrispondente base imponibile”.
Dipende dai punti di vista, verrebbe da rispondere: di “margine” per pagare altre tasse le famiglie italiane non ne hanno di certo, a maggior ragione ora che la pandemia ha eliminato gli ultimi miraggi di redditività dei loro immobili, molti dei quali espropriati dallo Stato sino alla fine dell’anno per effetto del blocco generalizzato degli sfratti.
Detto questo, è disarmante continuare a leggere, nei documenti della Commissione europea, l’invito all’Italia ad aumentare la già spropositata tassazione patrimoniale sugli immobili. La tesi è sempre la stessa: “Le imposte patrimoniali ricorrenti – scrive la Commissione, riprendendo le argomentazioni da anni portate avanti da Ocse e Fmi – sono una fonte di entrate più favorevole alla crescita rispetto alle imposte sul lavoro”. Si tratta di una tesi che – come ha dimostrato più di uno studio – non ha solide fondamenta ed è, anzi, smentita da analisi empiriche più rigorose.