La proposta di ridurre il tetto massimo di utilizzo del contante, nei trasferimenti di denaro, dagli attuali 3.000 euro a 1.000 euro sta alimentando un dibattito notevole all’interno della stessa compagine di governo e della maggioranza che lo sostiene. L’introduzione in Italia di un “tetto al contante” risale al DLgs. 21.11.2007 n. 231, con il quale fu recepita la Direttiva 2005/60/CE in materia di antiriciclaggio. Originariamente, l’art. 49 del DLgs. 231/2007, varato dal Governo Prodi II, prevedeva un tetto di 5.000 euro.
Con il DL 112/2008, varato dall’ultimo Governo Berlusconi e convertito con modificazioni nella L. 133/2009, il tetto fu alzato da 5.000 euro a 12.500 euro, salvo poi ritornare già l’anno successivo con precipitosa retromarcia a 5.000 euro e, nel 2011, scendere ulteriormente a 2.500 euro (per effetto di quanto disposto, “ai fini di adeguamento alle disposizioni adottate in ambito comunitario, in tema di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”, prima dal DL 78/2010 convertito con modificazioni nella L. 122/2010 e poi dal DL 138/2011 convertito con modificazioni nella L. 148/2011, entrambi varati anch0essi dall’ultimo Governo Berlusconi).
Con il DL 201/2011 (c.d. “Decreto Salva Italia”), varato dal Governo Monti e convertito con modificazioni nella L. 214/2011, il tetto di 2.500 euro fu ulteriormente ridotto a 1.000 euro e tale limite è rimasto in vigore fino alla fine del 2015, quando, con decorrenza 1 gennaio 2016, la legge di bilancio per il 2016 (L. 208/2015) promossa dal Governo Renzi alzò il tetto agli attuali 3.000 euro. Il Rapporto 2019 “Cashless Revolution” di Ambrosetti (ambrosetti.eu/wp-content/uploads/Rapporto-2019_Community-Cashless-Society.pdf) ricorda che il tetto all’uso del contante è di 3.000 euro anche in Belgio, mentre in Francia è sceso da 3.000 a 1.000 euro nel 2015 e in Grecia addirittura a 500 euro nel 2017.
Sono comunque numerosi i Paesi europei dove non esiste limite alcuno, tra cui spiccano Austria, Germania e Gran Bretagna. L’effetto in chiave anti evasione fiscale dei limiti all’uso del contante è del resto molto opinabile. A differenza degli incentivi all’utilizzo della moneta elettronica che creano un effetto di “contrasto di interessi”, tale per cui chi compra è incentivato a fare una transazione tracciata anche in contesti in cui chi vende preferirebbe accordarsi per un pagamento in contanti, così da poter poi non fatturare, il limite all’uso del contante si rivela perfettamente inutile nei contesti in cui chi vende è in condizioni organizzative per poter decidere di non fatturare (perché non incide minimamente sulla propensione di venditore e acquirente di mettersi d’accordo o meno) e può addirittura diventare controproducente nei contesti in cui chi vende è in condizioni organizzative per cui la transazione viene comunque fatturata quale che sia la forma di pagamento (perché impedisce a chi fatturerebbe la cessione o prestazione di accettare il pagamento in contanti).
In altre parole, tetti esagerati al contante non frenano l’evasione laddove non si fattura comunque, al massimo frenano i consumi laddove si sarebbe fatturato. Per i sostenitori della linea dura a 1.000 euro, tuttavia, il fatto che il presunto (e, diciamolo, più che possibile) evasore con molto denaro contante in tasca non possa pagare in contanti in Italia la vacanza presso un grande albergo, la borsetta di grido in una boutique di importanti catene di marca, lo scooter presso un concessionario o il televisore al plasma in un centro commerciale della grande distribuzione (tutte operazioni che vengono fatturate quale che sia la forma di pagamento, per caratteristiche organizzative del venditore) costituisce una sufficiente consolazione e supporta il convincimento che tolga a quel punto il “gusto” di evadere a monte denaro che poi non può spendere.