L’informazione pubblicitaria è il fenomeno per cui alla fine degli anni ’80 i giornali smisero la loro funzione di cerniera democratica tra il sapere degli iniziati e l’ignoranza delle plebi accettando la mutazione definitiva in merce, coi direttori del marketing che si imponevano su quelli responsabili e editoriali: di qui non si passa, voi dipendete da noi, dalla nostra raccolta pubblicitaria. Ne conseguì la quasi totale scomparsa del giornalismo d’indagine, la regressione a trenta anni prima, fine delle inchieste sulla grande industria, sul grande padronato, sulla finanza sempre più globalizzaa e truffaldina. Almeno fino a tangentopoli che però non si è ancora capito se fosse pulizia o un golpe al quale i media si sono subito accodati, comunque nella sensibilità gossippara che stava evolvendo che non si sarebbe più arrestata. Anche se oggi torna in voga la tivù di qualità.
Ma è stata proprio la televisione prima, seguita dalla rete, ad imporre l’ulteriore mutazione, la pubblicità informativa, con pretesa di informare, di dare notizie, regolarmente in chiave scandalistica o pop, come piace dire. Col risultato di rendere intoccabili non solo gli impuniti per ruolo, i politici che hanno capito subito come funzionava, la stessa scienza, ridotta ad affare lucrativo, fino, a cascata, a personaggi irrilevanti, provocatori, entità misteriose come questo Morgan che può dare dei froci al pubblico pagante “perché io sono un genio”, cosa di ci non si è accorto nessuno: e subito piomba Sgarbi a difenderlo.
Come si esce dall’informazione pubblicitaria, dalla pubblicità che vuol dare notizie? Non se ne esce ma c’è il solito escamotage: si prende uno in fama di irriverente o mattoide, in realtà appena fuori dai giochi, e gli si fa dire quello che tutti dicono en privé. Siccome persino una ragazzina che gioca alla pallavolo è mediaticamente intoccabile, avendo alle spalle la politica, segnatamente legata alle bollicine woke e gender di Elly Schlein, per la quale finirà candidata, è necessario trovare quello che svela il segreto di pulcinella e lo hanno trovato nel medagliato Andrea Lucchetta, campione a cavallo tra gli 80 e i 90.
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Cosa dice Lucchetta? Parla anche lui un po’ da politico, nell’era dell’irriverenza tutti parlano da politici con largo spreco di litote, di metafore, di locuzioni alla vasellina, ma quello che c’è da dire Lucchetta lo dice o almeno lo fa capire: Paola Egonu non può essere intoccabile, neppure se di colore, neppure se nera fuori e rossa dentro o dietro, perché non è più quella di prima. In Turchia, dove è corsa come una falena attirata dai bagliori della ricchezza, con la scusa dell’irriconoscenza, il “non mi meritate” che fa tanto Morgan o il Mancini saudita, si è definitivamente fiaccata, ha perso il fuoco sacro che un campione deve avere, si è trasformata in influencer e poi, non gradita, è tornata a casa, dietro ingaggio stellare, a dire che sì, lei si degnava ma questa è una terra infame e barbara dove non crescere figli.
“Pressioni psicologiche non ci devono essere, bisogna avere degli obiettivi ben chiari. Rivelo una fragilità di gestione della sua immagine. Come giocatrice poi ci sono dei problemi che il gruppo si porta dietro da qualche anno. La vittoria degli Europei è stata solo una tregua”.
Tradotto: la Lunga fa la diva in un contesto divistico, che un successo continentale ha potuto mascherare finché i nodi non sono giunti al pettine. La stessa situazione dell’Italia pallonara, della quale si sa, ma poco si dice, che i brocchi sono troppi e troppo ben pagati; e i rincalzi non ci stanno, perché non coltivati a dovere, oppure, nei rari casi, non trovano spazio perché anche lo sport, di piede o di mano che sia, è una faccenda politica, di sponsorizzazioni politiche, di potentati, con buona pace di Malagò che come verginella è delle meno credibili.
La fragilità di gestione dell’immagine che Lucchetta attribuisce alla Egonu è una formula, non vuol dire niente, vuol dire solo che la Lunga si è montata la testa e ha cominciato a credere che bastasse la sua ombra lunga sul campo a risolvere tutti i problemi. Invece la sua è di quelle ombre che pesano e complicano ogni cosa. Il torneo di Parigi alle porte è un pro forma, come tutti questi tornei ha la sola funzione di certificare la partecipazione olimpica delle rappresentative più quotate nel contempo facendoci un po’ di milioni televisivi e di marketing. Ma Paola la Lunga non c’è. Ha fatto la diva e ha sbattuto la porta; no, è una vittima, una martire, la Nazionale non la merita, l’Italia non la merita, lei è nera e ha tutte le ragioni. Invece, è il solirio segreto di pulcinella, di campioni imbolsiti, anche precocemente, ce ne sono sempre stati perché questa è la natura umana e oggi si fa più presto perché i soldi sono troppi, le copertine sono fuori controllo.
Ma questo, sia chiaro, è un discorso globale, Paola la Lunga c’entra come esempio e c’entra fino a un certo punto. I guai veri attengono allo sport nel suo complesso, a un Paese che di eccellenze ne sforna quasi solo nel peggio, ad una informazione, e non è solo prerogativa italiana, che non si ritrova, che ha accettato in pieno la natura di potere tra i poteri, ovvero la mutazione propagandistica.
Max Del Papa, 12 settembre 2023