Suor Anna Monia mi invita a scrivere un pezzo sulla libertà della scuola. Lo faccio malvolentieri, ma non per lei, che conduce una sacrosanta battaglia civile sui costi scolastici e sulla libertà di scelta, piuttosto per me. Da tempo la scuola mi procura solo angoscia, nonostante pensi che sia l’unico rifugio dello spirito e nonostante le sue particelle elementari – l’allievo e il maestro – siano mortificate nel loro rapporto di reciproca crescita e conoscenza da un circo mediatico-politico-conformista che grava sul centro dell’anima italiana. Ma, forse, vale per chiunque ogni mattina alza la saracinesca del negozio, entra in officina, apre lo studio professionale per portare avanti l’Italia nonostante tutto, nonostante lo Stato – il governo di turno – lo schiacci e lo opprima con la nausea di un potere che si presenta con il volto dell’istituzione.
Il tema del convegno sulla scuola sostenuto da Anna Monia per il 13 febbraio a Palazzo Giustiniani è proprio questo: Libera Scuola in libero Stato. Purtroppo, si tratta di un auspicio, non di una descrizione. Doverlo sottolineare e persino spiegare è di per sé già umiliante.
La politica italiana o ciò che ne avanza ritiene, contro il pensiero della libertà e anche del buonsenso, che la scuola pubblica sia la scuola di Stato, mentre la scuola non-statale sia non-pubblica ossia privata. Invece, la scuola è per definizione e per sua insopprimibile natura – a meno che non si voglia schiacciare l’uomo – tutta pubblica e l’unica distinzione seria possibile è tra scuole gestite dallo Stato e scuole gestite da uomini e donne libere. Purtroppo, è proprio il valore di questa libertà che è negata: nel sistema monopolistico dell’istruzione e della ricerca ciò che ha valore non è la scuola ma il diploma. La libertà scolastica, che è il momento dell’incontro tra il maestro e l’allievo, è di fatto e di diritto (storto) sequestrata dallo Stato che così facendo valorizza le sue scartoffie e svaluta la scuola, con danno enorme per tutti: scuola, società, famiglie e pure per lo stesso Stato.
Purtroppo, ancora purtroppo, la negazione della scuola libera non dipende – ahimè – solo dalla forza legale ma anche dalla sudditanza della cultura alle stesse istituzioni statali. Insomma, in Italia gli stessi uomini di cultura e di scuola non rivendicano l’indipendenza dell’intelletto ma il suo sacrificio. È un po’ come credere che il fondamento della matematica sia il ministero e che la legittimità scientifica dipenda dal Parlamento (magari con vincolo di mandato). Il dramma italiano è tutto qui: nella pretesa assurda di fondare la cultura sulle istituzioni mentre sono le istituzioni che vanno fondate sulla cultura. Altrimenti, non solo siamo destinati ad un’eterna dittatura ma anche ad un infinito governo della stupidità di massa. O pensate, forse, che la riforma della prescrizione, ad esempio, non sia il frutto, come nelle favole di Esopo, della volgare ignoranza fattasi valore?
Ecco perché in Italia non serve una rivoluzione politica ma una rivoluzione culturale che “converta” i fedeli affinché gli Italiani non vendano l’anima per illusoriamente salvare il corpo. E dove passa questa rivoluzione se non nel rapporto tra Stato e Scuola? Ossia nel rapporto sempre ideale e reale tra potere spirituale e potere temporale in cui il primo non può sottostare al secondo e il secondo non può avere il monopolio del primo e il primo non può essere la maschera del secondo e il secondo non può essere il privilegio del primo. Insomma, i poteri si devono ri-conoscere.