La Brexit del fumo e del buonsenso. La Brexit non ci ha lasciato solo senza il Regno Unito ma anche senza il pragmatismo anglosassone che punta ai risultati e non alle crociate ecologiche. L’esempio della lotta al fumo è plateale.
Il Regno Unito rappresenta infatti un punto di riferimento a livello internazionale per le strategie di riduzione del rischio applicate al tabagismo. Il suo governo è stato il primo a incentivare i fumatori a passare a prodotti alternativi al fianco di politiche molto restrittive sulle sigarette tradizionali.
Da noi invece, e io ne so qualche cosa, si continua a equiparare nelle limitazioni, nei divieti, la sigaretta tradizionale a quelle senza combustione. Eppure, torniamo dal Regno Unito, sulla base delle evidenze esaminate si ritiene che la stima di almeno il 95% dei danni meno dei prodotti senza combustione rimanga una stima accurata. Della stessa opinione è il National Health Service, il servizio sanitario inglese secondo cui sempre più persone si rivolgono al vaping per smettere di fumare e che le sigarette elettroniche sono molto meno dannose delle sigarette e possono aiutare a smettere di fumare definitivamente. Dichiarazioni che trovano conferma nei dati dell’Ufficio per le Statistiche Nazionali Inglese, nel Regno Unito la prevalenza del fumo di sigaretta è passata dal 18% del 2014 al 14% del 2020 e addirittura al 13% del 2021, la più bassa percentuale di fumatori da quando sono iniziate le registrazioni.
Da noi e nel resto d’Europa siamo invece inchiodati, tanto per cambiare, alle indicazioni ideologiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per cui un minor danno non è preferibile a un grande danno. Infatti la prevalenza del fumo di sigaretta nel 2014 era del 27% e nel 2020 era scesa soltanto del 2%. Ora non bisogna essere scienziati per capire che subire i danni del fumo non è bello, ma subire i danni dell’ideologia è ancora peggio