Buongiorno amici, oggi vi voglio parlare di un argomento non di stretta attualità, ma che è una delle mie passioni. E dopotutto nemmeno così lontana da quello che stiamo vivendo in questo momento. Sono a Fiume (Rijeka in croato) la città che esattamente cento anni fa – il 12 settembre 1919 – D’Annunzio invase, o meglio occupò, dando vita alla reggenza del Carnaro. Quella di Fiume è stata un’impresa molto studiata e sempre interpretata come un’anticipazione del fascismo. Ciò è vero solo in parte: Mussolini e il fascismo presero da D’Annunzio gli slogan e il modo di fare propaganda (il discorso dal balcone e così via) ma in termini ideologici la carta del Carnaro segna una distanza netta dal fascismo-regime. È più simile invece al fascismo delle origini del sansepolcrismo (la costituzione del Carnaro venne scritta da D’Annunzio insieme ad Alceste de Ambris, l’autore del programma dei sansepolcrista).
Ma lasciamo i rapporti col fascismo: voglio parlarvi dell’occupazione di Fiume, che fu (anche) un momento libertario. Qui, infatti, affluirono artisti avventurieri come Guido Keller o Giovanni Comisso e tantissimi altri, i quali sperimentarono un modo di vivere reazionario e al tempo stesso libertario. Keller, ad esempio, era bisessuale, faceva uso di cocaina, oltre che un grande aviatore ed eroe della Prima guerra mondiale.
Fiume fu figlia del mito della vittoria mutilata: la Prima guerra mondiale era stata vinta dall’Italia, che però non aveva ricevuto quei vantaggi territoriali che si aspettava. Fiume era stata dichiarata dal trattato di Rapallo “città libera”, ma i dannunziani volevano che fosse una città italiana o addirittura annessa all’Italia. Fiume, dunque, fu un’impresa nazionalista. Ma di un nazionalismo molto diversa dall’idea di nazionalismo in auge successivamente. Quegli uomini erano convinti che il Risorgimento fosse stata una cosa giusta, ma realizzata nel modo sbagliato perché aveva soffocato le libertà degli Stati italiani allora esistenti e mortificato la diversità delle popolazioni italiane.
Il nazionalismo dello spirito italiano come lo concepivano altri stati era rifiutato dai fiumani, considerato come un prodotto del nord capitalista imposto agli italiani per colonizzarli. Sapete come? Con la lingua comune, ma soprattutto con la moneta. Se leggete Yoga, la rivista dell’avanguardia fiumana, trovate come primo punto nel loro programma la sovranità della moneta. Per i fiumani gli Stati del nord (Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti) avrebbero cercato di conquistarci con l’economia e la moneta. Per loro l’Italia non aveva niente a che spartire con gli Stati del nord: ritenevano lo spirito italico adatto a coltivare la terra, pescare e commerciare, ma non all’industria pesante. Quest’ultima, trapiantata in Italia, avrebbe condotto alla rovina un Paese di artigiani e piccoli imprenditori commercianti. Il nazionalismo dei fiumani, inoltre, prevedeva un’ampia autonomia per tutte le regioni d’Italia.
Insomma, c’è qualcosa da capire e da imparare dall’impresa di Fiume. Del resto, i suoi protagonisti erano sognatori e i sognatori, a volte, vedono il futuro…
Alessandro Gnocchi, 11 settembre 2019