Prima ancora che il governo si formasse avevo bollato «delusione» quello, allora in fieri, guidato da Draghi, qualunque esso sarebbe stato. Una impertinente voce fuori dal coro concorde di alte speranze levato da sinistra, da destra, dall’alto e dal basso, fondate sul solo fatto che Draghi fosse migliore di Conte. Ben poco merito: chiunque, anche uno spaventapasseri, sarebbe stato migliore di Conte! Ora che il governo s’è formato, sono spiacente di dover confermare quella valutazione. Dirò di più (ma in realtà lo avevo ipotizzato prima): il problema del governo Draghi è Draghi medesimo, che si sta rivelando, appunto, debole di carattere. Vediamo perché.
Draghi, carattere debole
Innanzitutto perché ha riconfermato Di Maio agli Esteri e Speranza alla Salute. Trovo impossibile anche solo ipotizzare che sia stata una precisa volontà di Draghi. Di Maio – non va dimenticato – è quello che pubblicamente collocava Matera nelle Puglie, faceva bagnare le coste russe dal Mar Mediterraneo, si dispiaceva per il Venezuela oppresso dalla dittatura di Pinochet, e apostrofava il nome del premier cinese col nome del tennis da tavolo. Quanto a Speranza, dico solo che era il 2 febbraio 2020 quando, ospite in tv di Fabio Fazio, rassicurava gli italiani che il virus cinese non avrebbe scalfito l’Italia: il 2 marzo i morti erano già 52, e oggi sono quasi 100 mila.
Allora, se il più sprovveduto degli uomini cui fosse stato dato l’incarico di formare un nuovo governo avrebbe innanzitutto licenziato per direttissima quei due incapaci, perché Draghi, che sprovveduto non è, ha mantenuto proprio loro? Perché è un debole di carattere. Qualcuno deve avergli fatto notare che cambiare quei due significava bollarli di incapacità; sarebbe stata, sì, la verità, ma anche una macchia dalla quale il precedente governo bisognava lasciare non toccato. E v’è una sola persona in tutta l’Italia che ha il movente per non imbarazzare il precedente governo: quello che lo aveva fortemente voluto. Ecco perché Draghi conferma vieppiù il mio primitivo giudizio: un uomo disposto a sopportare un’ingerenza così inopportuna, appare un uomo debole di carattere.
Ministero ideologico e Gretino
Un’ulteriore conferma di questa debolezza è l’istituzione del Ministero per la Transizione Ecologica. Tutti i commentatori hanno presentato Draghi come l’uomo che, pur ponendo la questione ambientale al centro dell’azione di governo, sicuramente sarebbe stato scevro dalle ideologie e dai massimalismi dei Gretini. Nessuno però ha notato che il nome stesso del nuovo ministero è pregno di ideologia precostituita. La parola chiave è transizione.
Volendo cristianamente interpretare nel miglior modo possibile le azioni del prossimo, la presenza di quella parola presuppone che il compito del ministero sarebbe traghettare da una fase in cui lo sviluppo industriale non sarebbe attento alla questione ecologica ad una nella quale questa questione è posta al centro delle attività produttive. Si badi, qui non si tratta di punire chi ha a bella posta inquinato (per la cosa bastano i carabinieri, non un nuovo ministero). Qui si tratta di ripensare in modo diverso l’approvvigionamento energetico: cambiato quello, si ha la sospirata transizione. Non parlo giusto per parlare: il progetto mondiale, europeo, di Mattarella, è lo stesso progetto dei Gretini, e cioè azzerare le emissioni di Co2 e fantasticare di governare il clima.
Co2, il fallimento dei Verdi
A meno che non si faccia esattamente come Greta strilla di fare (con l’ecatombe che ne seguirebbe, ma pazienza), azzerare le emissioni di Co2 è pura ideologia. Basti pensare che nel 1978, quando nacquero i Verdi che, col loro Sole-che-Ride, vagheggiavano e promettevano un mondo senza nucleare e senza Co2, il contributo energetico da petrolio+carbone+gas+nucleare era l’87%. Quarant’anni dopo, e dopo che i partiti Verdi sono stati al governo di vari governi e, comunque, dopo l’affermazione dell’ambientalismo quasi come una nuova religione, nel 2018 quel contributo era ancora dell’86%. E, quanto alle emissioni di Co2 – che vari protocolli d’intesa internazionali sottoscritti dai responsabili di oltre il 60% delle emissioni mondiali vorrebbero ridurre – esse, che entro l’anno scorso avrebbero dovuto ridursi del 6% almeno rispetto a quelle del 1990, in realtà sono aumentate del 60%. Si veda la figura.
Allora, di tutta evidenza, i fatti sono una cosa, i desideri un’altra. Quando si insiste sui secondi contro ogni evidenza dai primi, quella si chiama ideologia precostituita. Che è quella di Draghi. Il quale, essendo una persona colta, non può ignorare i numeri detti sopra e l’impossibilità oggettiva di anche solo pallidamente avvicinarsi all’obiettivo fantasticato. Anche se tutto – dico tutto – il denaro del Recovery Fund (circa 200 miliardi) fosse speso per ridurre le emissioni di Co2, queste non si ridurranno per più dello 0.03%.
Abbiamo già fatto questa esperienza: negli ultimi 10 anni abbiamo già impegnato quella cifra per installare 20 gw fotovoltaici; che producono poco più di 2 gw elettrici, che sono meno del 7% dei nostri consumi elettrici. I quali contribuiscono per 1/3 alle nostre emissioni di Co2. Cosicché i 200 miliardi degli italiani spesi negli ultimi 10 anni nel solo fotovoltaico avrebbero ridotto le emissioni italiane di Co2, a essere generosi, del 3%. E quelle mondiali dello 0.03%, visto che le emissioni italiane sono l’1% delle mondiali.
Ho detto avrebbero, al condizionale. Perché la verità è che l’Italia, con la progressiva deindustrializzazione, il ricollocamento Oltralpe e Oltreoceano di attività produttive che aveva in patria, l’aumento d’acquisto di beni di consumo prodotti da altri (dalle auto agli elettrodomestici ai computer), non ha ridotto le emissioni – come cianciano alcuni sedicenti professori del Politecnico di Milano e che al Politecnico non hanno neanche una sedia dove sedersi – ma le ha aumentate: solo che emette nei cieli di Berlino o di Pechino anziché in quelli di Roma.