Finalmente, vien da dire. Finalmente uno scandalo giudiziario non produce lo scossone politico che tutti si sarebbero attesi. Marco Bucci vince in Liguria, seppur con un minimo scarto e grazie alle divisioni del presunto Campo Largo, e lo fa senza recidere il filo che lo legava al suo predecessore, quel Giovanni Toti costretto alle dimissioni dalle indagini della procura genovese, da una detenzione preventiva spropositata, da un’interpretazione del pericolo di “reiterazione di reato” che di fatto ha impedito per diversi mesi ad un governatore di governare.
Di sicuro c’è che gli scandali giudiziari non colpiscono l’elettorato come un tempo. Tutti, soprattutto a sinistra, erano sicuri che gli incontri in yacht tra Toti e Spinelli, che le intercettazioni spiattellate sui giornali, che il tintinnar di manette sarebbero bastati a rivoltare come un calzino la Regione. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e tutti gli altri si erano addirittura radunati in piazza in quel vergognoso sit-in per chiedere le dimissioni di un presidente di Regione ancora neppure imputato, solo indagato. Innocente per la Costituzione, ma già colpevole per chi sperava per l’ennesima volta di poter abbattere l’avversario per via giudiziaria senza dover faticare per sconfiggerlo alla partita delle urne.
È andata male. Un po’ perché, dopo Berlusconi, dopo lo scandalo Palamara, dopo Open Arms, dopo le sentenze discutibili sui migranti, forse gli italiani credono più poco ad una certa magistratura. E un po’ forse anche perché gli elettori si sono stancati di votare “contro” qualcosa e non “per” qualcosa. Il Campo Largo “tanto per stare tutti insieme”, tanto per sfruttare l’azione della magistratura, non è abbastanza, non ovunque almeno. Sarebbe servito Renzi per vincere? Sì, numericamente parlando. Ma poi? Poi come governi la Liguria (e il Paese) se Italia Viva e il M5S non si sopportano neppure da lontano?
Alla fine per Elly e Giuseppi sarebbe stato meglio se i pm fossero rimasti al loro posto. O meglio: se avessero legittimamente indagato, senza esagerare nel tener rinchiuso in casa il governatore per mesi e mesi, senza volerlo far dimettere a tutti i costi, senza estendere il “pericolo di reiterazione” del reato a qualsiasi candidatura futura, senza indagare per quattro anni spiando di tutto e di più nella speranza di pescare qualcosa, senza ipotizzare un reato – la corruzione elettorale – lì dove ogni euro era plasticamente dichiarato. Se il Pd e il M5S avessero dimostrato un minimo di garantismo, attendendo non dico la sentenza di primo grado ma almeno il rinvio a giudizio, avrebbero evitato una brutta figura, provocando l’esatto opposto dei loro desiderata: anziché azzoppare il governo Meloni, hanno finito per rinforzarlo.
Diranno che si tratta di una vittoria a metà, visto che il 50% degli elettori non s’è recato alle urne. Può darsi, posto che ormai a tutte le elezioni si registra lo stesso scenario. Ma in questo caso la colpa di chi è? Del maltempo, oppure di una disaffezione prodotta dal fatto che il voto di quattro anni fa era stato ribaltato dal can can mediatico-giudiziario?
L’esito elettorale serva infine da monito anche al centrodestra, troppo debole nel difendere non tanto l’ex governatore quando un principio. Quello del garantismo a priori: nessuno deve essere costretto a lasciare prima che un giudice, e non un pm, lo abbia dichiarato colpevole.
Giuseppe De Lorenzo, 29 ottobre 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).