L’inchiesta che svela il lato oscuro delle Ong

IpocriSea, il libro della giornalista Francesca Ronchin che mette in luce le opacità sulla gestione dell’immigrazione

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ipocrisea

Volete regalare un bastardo Natale ai comunisti? Regalategli Il Padreterno è liberale di Nicola Porro. Volete rovinargli anche Capodanno? Metteteci su pure IpocriSea di Francesca Ronchin, grande inchiesta di cui, temo, poco si parlerà: intanto, l’avrete vista proprio da Porro, a Quarta Repubblica. Francesca è una giornalista di gentile e soave aspetto che però nasconde i germi della pazzia: un libro sulle Ong, per giunta poco o per niente accomodante! Cosa ti aspetti se non il rogo mediatico? Ma IpocriSea va letto perché ha tanti meriti, primo: conferma quello che confusamente sappiamo, ma non riusciamo a chiarirci nelle nostre teste destabilizzate da missili di propaganda filoaccoglientista, dai cialtroni della politica e dei giornali che la determinano, dagli statistici felloni che, al pari dei virologi, diffondono realtà inesistenti, fondate su proiezioni, su numeri plasmati, su scenari implausibili.

Perché leggere IpocriSea

Francesca lavora in modo professionale e non accusa nessuno, lascia siano le crude circostanze a parlare; essendo come detto squilibrata, fa quello che da tempo non si usa, si infiltra, si infila, si insinua, rivolge domande, per lo più senza risposta, mette insieme i puntini, come il Pasolini di “Io so…” (ma, a differenza sua, non trae conclusioni e non giudica nessuno). Così escono le cose per quelle che sono, diradando una confusione di percezioni fondate: lo sappiamo, noi lo sappiamo, perché stupidi non siamo, perché le facce poi parlano, che c’è un giro da far paura d’intrecci tra i falsi attivisti, i taxi del mare (uso l’accezione sapendo che le ereditiere delle griffe del Bene come Cecilia Strada non l’accettano), i facilitatori, i finti pescatori (di uomini?), le istituzioni, le suddette griffe, tutto sulla pelle dei disgraziati, gli illusi, i sedotti e abbandonati.

Il libro, tra l’altro, esce in coincidenza quasi inquietante con la recente notizia del rapporto del sottomarino, integrato da altre fonti e da testimonianze, sugli ambigui spostamenti della Ong a caccia di derelitti da “salvare”, scientificamente ignorato da 9 e diciamo nove procure di fila. Sconcerto, clamore, ma stava già tutto in questo libro.

Propagandisti del bene

Non è l’unico motivo per inoltrarsi in IpocriSea: si scopre che un umanitario non è sempre umano, che una nave salvatrice non sempre salva (quasi mai, in effetti), che un sistema non è sempre organizzato per il meglio, che la burocrazia schiavizza i migranti peggio degli scafisti, che una sanatoria origina solo illeciti, che dietro a tutto sta l’eterno, inesauribile, irresponsabile appetito del potere, rappresentato dai partiti, che non sempre un disgraziato è un disgraziato; si scopre, finalmente in modo definitivo, la precisa proporzione fra i migranti, questa categoria ormai dello spirito, di guerra, una infima proporzione, e quelli economici, coi pretesti più articolati. Anche questa, si dirà, roba che, più o meno, si sapeva, si capiva: dopo aver letto IpocriSea, il più o meno non regge più, sta tutto lì, compresa la sicumera e l’arroganza dei propagandisti del bene, sì, ma quello loro; esclusivamente quello. Se lo assimilate bene, questo libro, vi servirà a tappare tante bocche invasate.

Ancora, il lavoro di Francesca è denso, puntiglioso, tignoso e si addentra nell’arte perversa della statistica e poi nelle logiche geopolitiche internazionali – illuminante la parte, molto estesa, relativa all’annoso conflitto fra etiopi ed eritrei, con epicentro la regione del Tigray, con le pesantissime intromissioni, tutte strategiche, degli Stati Uniti, che si legano alla propaganda europea, alle multinazionali solidariste come Amnesty, alle Ong come ResQ fondata dall’ex magistrato di sinistra Gherardo Colombo, addirittura all’Oms col suo ambiguo numero uno, quel dottor Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, che dottore in medicina lo è quanto era avvocato l’avvocato De Marchis di “Febbre da cavallo”, e che col Tigray è legato a filo doppio, da cui il contegno al limite della spregiudicatezza, proiettato fino allo scenario del Covid.

Ma c’è di più. Perché la materia è ostica, tale l’hanno resa, ad arte, al limite dell’incomprensibile, sì che si finisce per parlare a spanne: ma che cosa s’intende davvero per flussi, con relativi decreti, per zone di influenza, per ripartizioni d’intervento marittimo, per operazioni internazionali di salvataggio e quant’altro? Qui lo si spiega, lo si rende comprensibile per quanto possa esserlo una materia esplosiva, i cui pozzi risultano regolarmente avvelenati da una propaganda assai meno rozza di quanto si potrebbe immaginare; insomma si traccia la storia del problema, dell’emegenza infinita almeno negli ultimi trent’anni. “Diritti umani come arma geopolitica”, si intitola un capitolo del libro: e basterebbe a riassumere il senso.

Ong, la grancassa mediatica

Ci sono scandali, o almeno ombre di scandali, piccole, medie, enormi. Ci sono le disinvolture come quella dell’Arcigay di Roma che fornisce il salvacondotto di rifugiato ai finti gay a patto che prendano la tessera, quindi, essendo Arcigay collegato al Pd, si fa presto a tracciare il filo rosso che se ne dipana. Ci sono i finanziamenti alluvionali, sempre ai soliti (vero, clan Soumahoro?). E c’è, e davvero è un merito importante averla presa di petto, una approfondita trattazione su come lavora la grancassa mediatica in tema di immigrazione. Cioè a livelli osceni, ciò che Ronchin non manca di illustrare.

Non è un lavoro moralistico, all’autrice puntare il dito non interessa. È, invece, un libro incazzato, esasperato, scritto, lo giurerei, per non averne potuto più di false verità, di false bontà, di falsi profeti, di falsi cuori, di false soluzioni. Probabilmente non basterà una lettura sola, questo è un ginepraio di buone intenzioni, poche, di pessime intenzioni, un mare, di numeri che ballano, di esempi da non seguire – ed è tutto così complicato. Ma se lo assimilate bene, potrete mettere a tacere gli intriganti e i pagliacci che ancora recitano il mantra, “ci pagano le pensioni”, “non delinquono più degli indigeni”, “dobbiamo salvare tutti”, “salvare tutti è facile e possibile”.

C’è una cosa, questo è il libro che quel Masaniello allo specchio di Saviano non scriverà mai. Perché non gli conviene, ma, soprattutto, perché non sarebbe capace: a differenza di Francesca Ronchin, lui non è un giornalista, è un propagandista. Per questo va da Fazio, va dappertutto mentre, ci scommetto quel che non ho, dopo Porro e, forse, chissà, Mario Giordano, Francesca difficilmente la ritroveremo sui canali nazionali. Motivo di più per sostenere il suo coraggioso, scriteriato, necessario sforzo editoriale, sì, ma prima ancora esistenziale.

Max Del Papa, 8 dicembre 2022

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