Politiche green

L’incomprensibile fretta sulle case green: “Si farà prima di 2 anni”

L’Italia recepirà la direttiva prima del tempo po previsto dall’Ue, secondo il ministro Pichetto Fratin. Ma perché?

ue casa green © Engin_Akyurt, urbazon e sellingpix tramite Canva.com

All’Ecofin del 12 aprile scorso è stata approvata la direttiva case green, dedicata al rendimento energetico dell’edilizia. Un testo “pensato malissimo” secondo il primo ministro Giorgia Meloni, ideologia allo stato puro secondo il buonsenso, e dai costi insostenibili: secondo Deilotte, in Italia servirebbero tra gli 800 e i 1000 miliardi di euro per attuare il testo sull’efficientamento energetico degli immobili. La posizione dell’Italia è netta: Roma e Budapest sono le uniche due capitali ad aver votato “no”. Eppure, sentendo il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ora ci sarebbe una sorta di spasmodica attesa nell’attuare la direttiva.

“La direttiva case green ormai c’è, noi ci prepariamo, dobbiamo recepirla e verrà recepita. Naturalmente abbiamo due anni di tempo ma non utilizzeremo due anni fino alla fine”, la conferma del ministro ai microfoni di Sky Economia. Ma perché tutta questa fretta? Oltre al no italiano all’Ecofin, i partiti di maggioranza hanno votato contro al Parlamento europeo e il premier Meloni ha ribadito in più di un’occasione che il suo primo impegno è quello di modificare la direttiva.

“Stiamo approfondendo il percorso perché nessuno mette in dubbio l’obiettivo finale dell’efficientamento che deve andare a vantaggio delle famiglie”, ha precisato Pichetto Fratin, ma la direttiva case green di fatto si tradurrà in nuove tasse per gli italiani. Perché correre verso l’adeguamento alle norme nel quadro del parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050?

Come ricordato dal ministro, la struttura dei fabbricati italiani, che hanno per tre quarti più di 70 anni e spesso sono in borghi, determina la necessità di interventi molto più massicci e l’Europa in questo caso non può solo imporre l’azione, deve anche creare le condizioni per questa azione: “O si interviene finanziariamente o, almeno, a livello di paese vengono tolti dal cosiddetto patto di stabilità gli interventi per l’efficientamento perché non posso da un lato imporre e dall’altro obiettare”. Però il discorso non cambia: resta difficile comprendere questa necessità di anticipare i tempi nel recepire la direttiva, entrata in vigore ormai due mesi fa.

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La normativa è troppo sbilanciata, ma soprattutto non risponde alla banale domanda del “chi paga”. Da qui il timore di nuove tasse, di ulteriori sacrifici in nome di un integralismo talebano che tanto male ha fatto all’Europa. L’obiettivo zero emissioni è folle, lo sappiamo. Ma anche le tappe intermedie non scherzano. Ricordiamo che ogni Paese dovrà abbassare il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Per quanto concerne gli edifici non residenziali, obbligo di ristrutturazione per il 16 per cento di quelli con le prestazioni peggiori entro il 2030  e per il 26 per cento entro il 2033. Il governo valuterà il da farsi, possibilmente senza pericolose fughe in avanti.

Franco Lodige, 29 luglio 2024

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