Ma quanto sono simpatici. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi che ci fa su il Piddì. Ma quanto sono accattivanti, ce l’hanno nel sangue, proprio, i nipotini del Pci, pronipoti dei piazzaroli anni Settanta: adesso si sono ripuliti, si distinguono dai sanculotti dei centri sociali, sfoggiano certe divise da signorinelle griffate, da jovanotti leopoldini, sono la Generazione Erasmus, i delicati cazzari che girano il mondo, incontrano gente, combinano niente, i loro curriculum ricordano l’inconcludenza di “Ruggiero”, il figlio del sor Brega di “Un sacco forte”: “Giulia vive a Bologna da anni, è fisioterapista, compie 30 anni il prossimo febbraio, è la più giovane dei quattro moschettieri. Roberto è ingegnere, nel tempo libero tiene laboratori creativi nel riciclo della plastica. Andrea è arrivato a Bologna all’età di sei anni, ha una laurea magistrale in scienze della comunicazione pubblica e sociale. Ha girato il mondo con i suoi studi: Valencia, California e Washington. Ha concluso con una tesi in comunicazione ambientale, ora è guida turistica, accompagnatore in ciclopercorsi in tutta Europa”. Love, love, love. I ciclopercorsi. “Hai capito”, come direbbe Mike Bongiorno.
Questi, par di capire, sono i raffinati artefici del Movimento delle sardine, che viene dopo i Se non ora quando (più maschi che femmine, coi palloncini rosa), il Popolo Viola, quello Arancio, i Girotondini delle Guzzanti e di Dario Fo (e di Travaglio, demiurgo della prima ora), ma è sempre la solita fuffa gonfia di arroganza e di scorrettezza. E lo sono, scorretti, perché si capisce che la politica vive di contrapposizioni, di colpi bassi, e poi di piazze, di cortei, di coreografie; ma le irresistibili sardine si sono stipate in piazza Maggiore a Bologna dietro un preciso presupposto: delegittimare l’avversario politico, che nella fattispecie sarebbe Salvini con contorno di Meloni (Berlusconi, anzi B., come lo chiamano i Merry Pranksters del Fatto, per dire che gli fa schifo anche pronunciarne il nome, non li preoccupa più ovvero non frutta più ingaggi).
Non discordare, confutare, opporre la propria idea, no: delegittimare, arrivare a negare una dignità, col solito psicoargomento di stampo razzista: lui è un sottouomo, non è come noi, è un fascista, di conseguenza qui non deve e non può venire, “Bologna è roba nostra, i fascisti non entrano”, come hanno scandito per tutta una giornata. Hanno variato un po’ la liturgia ma restano inconfondibili. Davanti gli esagitati, i fanatici patentati, i mascalzoni, dietro le faccette presentabili della Generazione Fannullona, i borghesi nati, che fanno tutto nel modo giusto, pensare parlare votare santificare esecrare così come piace a Greta. Ma sono anche più totalitari e carognette degli altri.
Qui, di democratico c’è poco. E non ci fanno una gran figura, anche se in tutto coerente con quelli che sono, i vari Fico e Zingaretti che hanno adottato in pieno una simile contromanifestazione, la cui unica ragion d’essere stava nel disprezzo e nel boicottaggio di stampo genetico: con un occhio alle imminenti, preoccupanti elezioni regionali. Quelli che sono, che non sanno non essere: non cambiano, non possono, basta confrontare il tono degli attacchi sui social, i più meschini e violenti, con tanto di manovre di sabotaggio dei profili avversari, arrivano quasi sempre da una parte. E non si era mai vista, almeno in tempi recenti, una contromanifestazione organizzata solo per contestare l’uguaglianza fondamentale, la comune appartenenza comune al genere umano: è un fascista, merita ogni male, è un razzista, quindi noi siamo razzisti con lui.
Dagli egualitaristi a oltranza, da quelli che “fanno rete” per “restare umani”. A Bologna sono andate in scena due manifestazioni opposte: in una, una comunità di militanti, simpatizzanti, semplici cittadini con tutti i difetti del mondo ma per niente “fascisti” si è data convegno per sostenere un leader con tutti i difetti del mondo, ma in totale autonomia; nell’altra, una identica comunità si è riconosciuta nel disprezzo, nella intolleranza, nel razzismo, nella pretesa di cancellare da Bologna, ma perché no direttamente dalla faccia della terra, quelli che arbitrariamente ha classificato come odiatori, nazisti, sottouomini.
Hanno scelto l’apparente identità delle sardine, così innocue, così proletarie. Ma di popolo lì in mezzo c’era poco; c’erano diecimila persone convinte di essere geneticamente superiori, moralmente migliori, culturalmente imparagonabili, eticamente diverse, politicamente nel giusto in tutto e per tutto, senza mai un dubbio, uno scrupolo, un sospetto di rispetto, doverosamente schierate in falange per odiare in nome dell’amore. Salvini va a volte di grana grossa, ma quando Zingaretti dice che “loro” stanno con la parte migliore, la parte degna del paese, che loro amano non odiano, quando lui e gli altri della sua fazione parlano delle “destre” e la faccia gli si contorce in uno schifo come se avessero ingoiato un topo morto, che cosa sono? Sardine, certo. Guardale, quante sono, quanto sono stipate in piazza Maggiore, che è roba loro e lì dentro i “fascisti” non possono entrare, peggio dei cani. Vigilano le sardine Erasmus. Ma quanto stanno sulle palle.
Max Del Papa, 16 novembre 2019
Saviano & Co, dove soffia davvero il vento dell’intolleranza