Biblioteca liberale

Kulturinfarkt (Dieter Haselbach, Armin Klein, Pius Knüsel, Stephan Opitz)

Kulturinfarkt

Autore: Dieter Haselbach
Anno di pubblicazione: 2012

È incredibile come l’industria delle sovvenzioni culturali, ciò che di più lontano si possa immaginare da ogni ragionevolezza liberale, ne sfrutti un principio economico fondamentale (pur se per la verità molto dibattuto anche tra i teorici liberali). E cioè che l’offerta crei la domanda. Se con le risorse pubbliche finanzio mostre, eventi, associazioni, manifestazioni, spettacoli dal vivo e non, l’ipotesi è che si alimenti un circolo virtuoso, grazie al quale la cultura, con i suoi presunti benefici, si diffonde e fa crescere una collettività. Mah.

Nel geniale saggio Kulturinfarkt, firmato da quattro intellettuali (tre tedeschi e uno svizzero) e pubblicato da Marsilio nel 2012, la proposta è diametralmente opposta: tagliamo tutto. Azzeriamo tutto. “L’eccesso di offerta è un errore perché si fonda sul presupposto sbagliato che ogni prodotto possa generare da sé il proprio pubblico; la massiccia avanzata di consulenti e manager della cultura non produce innovazione, ma solo conformismo dal sapore burocratico; troppi sono oggi i compiti affidati alla cultura che – schiacciata dal dover favorire la democratizzazione, integrare gli stranieri, rendere le città più accoglienti, assicurare la pace, generare crescita economica – perde di vista la sua ragion d’essere e il confronto con il pubblico”. Più chiaro di così…

Come spesso avviene, al fallimento pratico corrisponde un fallimento etico. Come possa un Iiberale pensare che la cultura, iI pensiero, le sue capacità innovative ma anche distruttrici possano essere finanziate dalla classe dominante, è misterioso. Il mio amico Vittorio Macioce è forse l’unico uomo di cultura che conosco che si è messo genuinamente (e senza guadagnarci un euro) a organizzare un festival culturale che con il tempo è diventato un grandissimo successo. Ha valorizzato l’area in cui si è svolto, ha coinvolto centinaia di intellettuali, ha riattivato piccole attività economiche e turistiche altrimenti neglette, ha fatto parlare personaggi della cultura più varia, con un sottofondo liberale. In cambio ha avuto ristrettissima rilevanza mediatica e nessun finanziamento pubblico. Probabilmente il suo festival non sarà eterno, come eterni sono alcuni premi e manifestazioni che si reggono solo sulle nostre tasse e su nessuna idea, ma, utilizzando il gergo del nostro Iibro, quelle manifestazioni rendono bene l’idea di come un infarto alle sovvenzioni culturali non voglia dire la morte culturale, bensì l’affermazione di ciò che vale e non già di coloro che ci sanno fare di più con le burocrazie pubbliche.

È un mistero logico il motivo per il quale un balletto, un film, un’associazione o un premio debbano essere finanziati da un ministero e il festival di Macioce no: ma non è un mistero perché i primi spesso siano solo degli esercizi burocratici con pubblici ristretti e il secondo sia pensiero alto stato puro e popolare.

Nicola Porro, Il Giornale 26 agosto 2018