L’Internazionale del bavaglismo

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Stalin ha fatto un gran bene al suo paese. L’Urss fu un baluardo della democrazia nel mondo. Il ventennio berlusconiano è stato un periodo di cupo autoritarismo, un tipo nuovo di fascismo. Prodi è stato il più grande leader politico dell’Italia repubblicana. Renzi in Rai si è comportato da grande liberale, niente affatto prevaricatore.

Se scrivessi queste affermazioni seriamente, il direttore di questo sito avrebbe tutto il diritto di non pubblicarmi. E io sarei solo un cretino o in malafede se gridassi alla censura. Sarebbe come se, in un ristorante, il proprietario proibisse al proprio chef di cucinare e servire robaccia. Ma invece oggi tutti gridano alla censura. Riducono Fazio di due puntate? È censura. Fanno togliere gli striscioni alle finestre? È censura. Il conduttore non ti lascia finire un lungo e noioso, monologo? È censura

Tanto oggi si denuncia ovunque la censura che non si vede dove essa stia realmente. Il direttore di questo sito ha il diritto di non pubblicare un pezzo fuori dalla linea editoriale. Ma se poi intervenisse un’autorità esterna che, invece, facesse chiudere proprio tutto il sito, perché questo violerebbe chissà quali codici? In questo caso, si, sarebbe censura. Una tentazione che si sta affermando.

Escono libri in Italia che invitano a «chiudere internet», si avanzano progetti di legge in cui si prevede la raccolta delle impronte digitali per aprire un profilo social, si domanda alle piattaforme di bandire esplicitamente le pagine di « estrema destra ».

Fino a qualche tempo fa il controllo su internet e conseguentemente sui social era prerogativa della Cina, di Cuba, della Russia di Putin. Ma a farsi paladino di un «sano e regolare» uso della comunicazione on line è nientemeno che Macron il quale, sfruttando il massacro di Christchurch, raccoglie il 15 maggio a Parigi una sorta di Internazionale del bavaglismo, la premier neozelandese Jacinta Ardern e quello canadese Justine Trudeau, tre prime donne del liberalismo (nel senso di liberal) per uno straordinario progetto progressista: censurare la rete.

Naturalmente dall’appello di Christchurch, cosi pomposamente si chiama, la parola censura è del tutto bandita, si parla di codici etici, di «regulation per conciliare tecnologia e bene comune », di « tech for Good», secondo il linguaggio tardo obamiano dei tre leader progressisti. Ma la sostanza è che esisterà un dispositivo legislativo e una commissione  che controllerà l’attività in rete, in modo che siano banditi coloro che i diffondono «l’odio», un’altra delle parole chiave del Minculporr. (Ministro della Cultura politicamente corretta).

Ma scusate, non esiste già, anche in Francia, una polizia postale? Un corpo cioè di agenti che, sulla base di denunce, interviene per chiudere siti e pagine, su disposizione del magistrato  quando intravede reati? Se sì, perché bisogna costituire un’altra commissione, che più che il reato sembra voler colpire il peccato e che sembra voler discutere l’etica della comunicazione?

Quando esiste un comitato che controlla e, eventualmente, impedisce, una manifestazione di pensiero e parola in ragione di presupposti etici, allora sì, ecco, quella si chiama censura.

Quanto alle reali ragioni dei Macron è presto detto. Le forze progressiste, che anni fa avevano tenuto a battesimo la politica digitale, anche sui primi social, sono state poi decisamente surclassate dai movimenti cosiddetti populisti e sovranisti, che stanno cavalcando la rivoluzione digitale in modo assai più efficace di loro. Meglio allora fare in modo che i social si espandano il meno possibile, meglio frenarne l’attività e la diffusione. Sia mai che gli elettori li seguano.

Non è neppure di scarso peso che Macron, Ardern e Trudeau siano al potere. Per chi è al governo infatti la rete è pericolosissima, perché consente di far passare, superando i circuiti istituzioni controllati, e quelli dei giornali mainstream quasi sempre reticenti, informazioni, impressioni, spunti, che senza la rete resterebbero chiusi negli arcana imperi

Non sia mai che le fake news del potere (il potere mente, ed è tanto più potente quanto più mente, da sempre) possano essere frenate e ostacolate, magari da altre fake news, ma alternative. E comunque, in mezzo a tante falsità, ci sono però anche molte notizie vere. Chi pensa che il cittadino non sia maturo e in grado di distinguerle, dovrebbe quindi coerentemente chiedere l’abolizione del suffragio universale: e infatti molti progressisti lo attaccano esplicitamente.

Prima di togliere il voto al popolo ignorante (ché pare brutto), tuonano all’unisono Macron, Ardern e Trudeau, gli si tolga almeno la possibilità di chattare!

Marco Gervasoni, 15 maggio 2019

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