Alberto D’Argenio su ‘la Repubblica’ del 25 settembre u.s. ha scritto un articolo Il manifesto del Sultano che si dovrebbe incorniciare giacché sintetizza, con esemplare chiarezza, la deriva di un iperlaicismo che, come aveva previsto il più grande filosofo politico italiano del secondo Novecento, Augusto Del Noce, rischia di convertirsi in nichilismo.
«Un unico palco globale, due mondi che ormai faticano a convivere sullo stesso globo. Joe Biden all’ultimo – applauditissimo – discorso alle Nazioni Unite usa la sua storia personale per incarnare i valori democratici e del multilateralismo, eredità della sua novecentesca carriera politica. Il turco Recep Tayyip Erdogan, che in Assemblea Generale parla subito dopo, usa il corpo, strumento tipico degli autocrati, per squadernare una visione opposta dei valori e del futuro’ Cita la “diabolica” cerimonia delle Olimpiadi di Parigi – alludendo a posture e corpi dei loro protagonisti – per chiamare a raccolta le dittature dei pianeta. “Quel disgraziato attacco sessuale – afferma – non ha offeso solo i cattolici, ma tutti coloro che difendono i valori sacri della famiglia”. Sottotesto: una coalizione che parte dalla Russia di Putin, passa dalla Cina per guardare a Iran, Corea del Nord e ai sovranisti d’Occidente. Tutti, non a caso, contro quella cerimonia che a luglio sotto la regia di Emmanuel Macron ha voluto rappresentare un appello all’Inclusività, alle diversità, all’illuminismo e in ultima istanza all’europeismo dell’Eliseo».
Quello di D’Argenio, al di là delle tesi sostenute, è un discorso di una irritante scorrettezza e faziosità. Il lettore, infatti, è indotto a credere che l’appello macroniano -consegnato alle più discutibili Olimpiadi della storia– “all’inclusività, alle diversità, all’illuminismo e in ultima istanza all’europeismo” abbia diviso il mondo in amici del progresso e fantasmi della reazione. Ma non è così: a destra e a sinistra, tra gli elettori di Meloni e quelli di Schlein (per non parlare dei cattolici), si sono manifestate non poche fondate riserve nei confronti degli spettacoli della Senna.
Uno dei pochi analisti della politica che non hanno portato il cervello all’ammasso del mainstream politico-culturale, Luca Ricolfi, uno studioso non certo di destra, in un articolo (anch’esso da incorniciare ma per opposte ragioni), A proposito dell’Ultima Cena. Libertà di espressione e indottrinamento (‘La Ragione’ del 30 luglio u.s.), parlando delle Olimpiadi e della parodia dell’Ultima Cena di Leonardo, “con sfilata di drag queen e una (alquanto volgare) esibizione di un attore nella parte di Dioniso, dio pagano del vino della festa e della trasgressione”, aveva fatto rilevare: «L’intera vicenda è estremamente istruttiva, perché consente di mettere in evidenza due clamorose falle logiche del politicamente corretto. La prima falla è che se, in nome dell’arte o del diritto di critica, teorizzi la libertà di canzonare le religioni, allora non puoi farlo con certe religioni (il cristianesimo) e auto-censurarti con altre (l’Islam). Da questo punto di vista, sono stati più coerenti i vignettisti di Charlie Hebdo, che hanno avuto il coraggio di infrangere il tabù che in occidente protegge l’Islam. La seconda falla logica è che alcuni dei principi generali della wokeness sono reciprocamente incompatibili. L’idea di poter parodiare una religione senza offenderne i fedeli è chiaramente contraddittoria. Analogamente, se in nome dei diritti di alcune minoranze sessuali ne metti in scena le manifestazioni più controverse e divisive, non puoi–contemporaneamente–sostenere che la comu-nicazione deve essere inclusiva e non offendere nessuno. Il caso paradigmatico, in proposito, sono i vari Pride e pseudo-Pride, che sono certamente più che legittimi, ma palesemente poco inclusivi. Il problema logico è che si vogliono far coesistere due principi incompatibili: il diritto di alcuni di manifestare sé stessi in totale libertà, e il diritto di altri di non venirne offesi».
Le conclusioni di Ricolfi sono del tutto in linea con la filosofia liberale classica che ormai sembra dimenticata in quotidiani come ‘Repubblica’ ’Domani’ etc. «Le vignette su Maometto erano skippabili || da skip, che significa saltare ||, anche se potenzialmente virali. La parodia del Cristianesimo era non skippabile perché parte integrante dello spettacolo in cui era stata impiantata. Non solo, ma quella parodia, a differenza delle vignette di Charlie Hebdo, aveva un chiaro intento pedagogico, di indottrinamento e di cosiddetta sensibilizzazione. È questa la scorrettezza, la mossa subdola cui le direzioni artistiche non riescono più a sottrarsi: approfittare di un grande evento, come possono essere le Olimpiadi o il Festival di Sanremo, per imporre a tutti un messaggio di parte, che finge di voler includere ma offende chi non lo condivide».
Non vorrei passare per un amico di Recep Tayyip Erdogan o (peggio) di Vladimir Putin e pertanto chiarisco un punto fondamentale. Non è in questione il giudizio (etico, estetico, politico) di D’Argenio, un giudizio legittimo pur se non lo condivido. Quello che è sconvolgente è l’assoluta incapacità di prendere atto che anche l’altra parte possa accampare ragioni sensate e rispettabili, senza dover precipitare nell’inferno degli amici delle autocrazie. Sono facili le sparate retoriche contro Erdogan e la stessa Giorgia Meloni, lo è assai meno prendere in considerazione quanti, in campo liberale si dissociano dal sommamente divisivo estremismo laicista.
La crisi morale e culturale dell’Occidente sta in un equilibrio infranto (rinvio al mio articolo Occidente. L’equilibrio spezzato su ‘Fondazione Hume’ del 23 Settembre u.s.), sta nel legame saltato tra i valori della Tradizione e quelli del Progresso, tra Conservatorismo e Illuminismo, tra Voltaire ed Edmund Burke. Oggi tutto ciò che sa di morale tradizionale viene relegato nel melting pot che non distingue più tra conservatorismo, fascismo, sovranismo nazionalismo, populismo. O con Erdogan o con Biden, o con Macron o con Le Pen. È l’aut aut tipico del fondamentalismo di sempre e che porta a squalificare quanti non si adeguano al pensiero unico: quelli, ad esempio, che oggi non ritengono un diritto indisponibile quello all’utero in affitto e che ieri avanzavano riserve sull’aborto, rifiutandosi di considerarlo alla stregua dell’estrazione di un dente cariato (era la posizione decisamente non conformista di Norberto Bobbio). Ma soprattutto, l’aut aut è tipico della mens totalitaria. Per la quale la democrazia è il trionfo del Bene e della Giustizia sul Male e sulla Miseria e non un confronto di opinioni, nessuna delle quali possiede il monopolio della verità.
Per saggisti come D’Argenio è come se la filosofia del dialogo di Guido Calogero o il pluralismo di Isaiah Berlin non fossero mai esistiti. Nessun credito all’avversario ideologico, espressione di atavismi culturali che vanno rimossi. Nessun sospetto che la realtà sia prismatica e che parole come ‘patria’ o ‘nazione’ possano riferirsi a sentimenti, a idealità, a interessi legittimamente espressi e difesi da parti più o meno consistenti della società civile. Nel suo bel discorso al ‘Global Citizen Award 2024’ di New York, Giorgia Meloni ha ricordato «Giuseppe Prezzolini, forse il più grande intellettuale conservatore nell’Italia del Novecento: diceva che “chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”». Ho l’impressione che ad aver paura del futuro siano gli ‘intellettuali militanti’ che temono nei nuovi barbari —i proletari d’antan, i qualunquisti, i populisti..— i guastatori della festa globalitaria e anticomunitaria.
Sennonché non è con la retorica – forse davvero immarcescibile nel nostro paese – he si risolvono i problemi che affliggono l’Italia, l’Europa e il mondo. Polemizzando con Giorgia Meloni, scelta ad esempio dei sovranisti di Occidente, D’Argenio così conclude il suo sermone ideologico: «A New York si fa premiare da Elon Musk sperando di recuperare crediti presso Trump rispetto a Matteo Salvini e parla di Nazione e Sovranismo || ma quando mai la Meloni ha nominato il sovranismo?||, dimenticando che il vero patriottismo oggi, in un mondo di giganti carnivori, non può che essere quello europeo, unico valore aggiunto alla piccola forza di qualsiasi Stato del Vecchio Continente. Anziché flirtare con Orbán, Vox e Le Pen o di litigare con Macron e Sanchez, un leader democratico dovrebbe ascoltare Biden (“siamo più forti insieme”) ed evitare di scimmiottare le autocrazie che -come Erdogan- nel nome di un nuovo mondo multipolare cercano solo una miope strategia multi-tavolo».
Cosa dire se non che anche le democrazie malate hanno i loro Mario Appelius? La nave del pensiero unico scioglie gli ormeggi, lasciandosi alle spalle la ‘realtà effettuale’ su cui , per fortuna, continuano a riflettere quei pochi storici e analisti politici seri che ci ritroviamo ancora nel nostro paese.
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