A febbraio di due anni fa, uno degli uomini più ricchi del pianeta, Warren Buffett si fa intervistare in una trasmissione di punta di Cnbc, Squawk Box per dire, e non era la prima volta, che «i ricchi sono decisamente sottotassati». Il suo collega (in termini di conto corrente) Bill Gates disse un anno prima a Fareed Zakaria sulla Cnn che occorreva alzare le imposte sui più ricchi. Alla vigilia delle presidenziali americane del 2020, diciotto miliardari a stelle e strisce scrivono una lettera aperta per chiedere al governo di mettere una tassa sui super ricchi. Tra di loro George Soros, quello che distrusse il valore di lira e sterlina, grazie alle sue spericolate e vincenti speculazioni. E c’era anche Chris Huges, cofondatore di Facebook, nuovo ricco grazie ai dati di miliardi di cittadini globali.
Ciò che li mette tutti insieme è la loro favolosa ipocrisia. C’è il miliardario che fa affari solo sulla vecchia economia, c’è il giovane della Silicon Valley pronto a qualsiasi diversity, c’è lo speculatore stile Anni 80, c’è il monopolista dei sistemi operativi mondiali, tutti che piagnucolano su quante poche tasse pagano. Bisognerebbe ricordare loro due cose banali.
1. La prima riguarda i loro guadagni. Essi non derivano dalla fortuna, ma dai loro comportamenti. Avrebbero potuto, se gli utili e i loro redditi li scandalizzano troppo, ridurre i margini: speculare un po’ meno, regalare qualche Windows in più o magari non attaccarci obbligatoriamente altri programmini, e via dicendo. Insomma, loro pagano poche tasse su redditi giganti: invece di chiedere allo Stato di tassarli di più, avrebbero potuto, se proprio ci tengono, ridurre il proprio reddito a beneficio di milioni di consumatori che usano e comprano i loro prodotti. Insomma, perché chiedere allo Stato di fare ciò che avrebbero potuto realizzare autonomamente?
2. La seconda considerazione riguarda le tasse che effettivamente pagano questi signori. Esse derivano dagli utili che fanno le loro società. Ebbene, le loro multinazionali sono famose per sfruttare ogni spiraglio della legge fiscale americana per abbassare il loro tax rates. Solo esattamente le loro multinazionali a parcheggiare miliardi di ricavi all’estero per non pagare le tasse, più alte, in America. È per colpa loro che Biden vuole imporre una tassa minima globale: le loro aziende vanno alla ricerca di paradisi fiscali. Potrebbero astenersi. Le loro multinazionali pagherebbero più tasse, ridurrebbero così i loro utili e per questa via la ricchezza che accumulano questi ipocriti Paperoni.
Perché oggi ci ricordiamo di loro? Semplice. Sono usciti nei giorni scorsi dei documenti segreti del Fisco americano secondo i quali i 25 americani più ricchi negli ultimi quindici anni hanno pagato un’aliquota reale del 3,4% contro il 14% di coloro che guadagnano fino a 70 mila euro. Tra di loro, molti dei moralisti che, mentre chiedevano l’aumento delle tasse, facevano di tutto per pagarne il meno possibile.
Nicola Porro, Il Giornale 13 giugno 2021