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L’Iran ammazza il blogger dissidente

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Roohollah Zam era molto conosciuto sia nelle comunità di dissidenti iraniani all’estero sia dagli attivisti che dall’interno dell’Iran fanno quello che possono, e spesso pagano caro questa loro attività, al fine di far cadere il regime dittatoriale degli Ayatollah.

Era il fondatore del sito e canale controrivoluzionario Amnnews o Sedaiemardom, praticamente La voce del popolo, canale che ebbe un ruolo di alto profilo durante le proteste antigovernative del 2017-2018, proteste durante le quali, e con l’aiuto degli stessi partecipanti che lo informavano con tutti i mezzi possibili, ha dedicato una copertura speciale.

Era spesso ospite nelle trasmissioni di Voice of America, durante le quali spiegava in maniera semplice ed esaustiva, come un vero giornalista dovrebbe sempre fare, cosa succedeva in Iran al di là degli accordi e del business in nome dei quali numerose democrazie hanno sacrificato troppi pezzi d’anima. Per questa sua attività è stato condannato nel giugno 2020 da un tribunale iraniano che lo ha dichiarato colpevole di ‘corruzione sulla terra’, praticamente di ‘alto tradimento’, per aver gestito un popolare forum antigovernativo che, secondo l’accusa, avrebbe incitato la popolazione a protestare per le strade di Teheran e delle più importanti città iraniane.

Il carcere nel 2009

Roohollah Zam era nato a Teheran nel 1978 e suo padre, Mohammad-Ali Zam, di idee riformiste, aveva ricoperto incarichi governativi fra il 1980 e il 1990. Le scintille che fecero decidere a Roohollah Zam di schierarsi contro il potere, furono le proteste per le elezioni presidenziali iraniane del 2009, durante le quali è stato arrestato e detenuto per diversi mesi nella prigione di Evin. Uno dei luoghi più infami al mondo. Dopo il suo rilascio è riuscito a scappare in Francia dove, per sua stessa ammissione, il governo francese gli aveva assicurato una scorta che era seconda solamente a quella che protegge il Presidente Macron.

Il misterioso arresto

Il 14 ottobre 2019, notizia che sorprese un po’ tutti al punto che nelle prime ore si era pensato a una delle solite fake news diramate dal governo di Teheran, le Guardie Rivoluzionarie Iraniane annunciarono il suo arresto, effettuato sul territorio iraniano, e lo fecero postando la notizia direttamente sul canale Telegram dello stesso giornalista. Canale che all’epoca era seguito da oltre un milione di persone.

Come i guardiani della rivoluzione fossero riusciti ad attirare il giornalista in Iran è una di quelle situazioni che probabilmente rimarrà senza spiegazione. Secondo voci che girano all’interno della dissidenza iraniana all’estero, sembrerebbe, non potendo verificare le fonti il condizionale è obbligatorio, che Roohollah Zam sia stato convinto, per mezzo di notizie false, ad andare in Iraq dove, con la complicità di Ali al-Sistani, religioso iracheno di origine iraniana e attualmente il maggior Ayatollah e guida spirituale e politica dell’Iraq, i Pasdaran sono riusciti a rapirlo e a portarlo a Teheran.

Morte atroce

Anche se la dinamica dell’arresto rimane comunque un mistero, con l’udienza che si è tenuta presso la sezione 15 del Tribunale della Rivoluzione di Teheran, presieduta dal giudice Abolqasem Salavati, Ruhollah Zam è stato condannato a morte e oggi la sentenza è stata eseguita mediante impiccagione. Mi dispiace dover ricordare ai lettori un orrendo particolare che riguarda le esecuzioni che vengono praticate a Teheran e dintorni, e anche se sono sicuro di averlo già spiegato in altri articoli, credo sia necessario ripeterlo e ripeterlo ancora.

Perché si può essere infami anche nell’eseguire una sentenza di morte. Dico questo perché l’impiccagione in Iran non funziona come è sempre funzionata in ogni altra parte del mondo, cioè con la caduta del condannato nella botola e con il cappio che spezza il collo, particolare raccapricciante ma che almeno dà una morte rapida. No, sarebbe troppo comodo. In Iran il condannato deve soffrire fino all’ultimo istante della sua vita, esattamente come era in uso in Europa durante il periodo del buio Medio Evo.

I condannati, con il cappio al collo, vengono sollevati lentamente con le gru, quasi tutte di fabbricazione europea e muoiono per soffocamento dilaniati da dolori indicibili. E questo macabro spettacolo, viene spesso messo in scena in pubblico come ammonimento e deterrente nei confronti della popolazione che deve capire, sia con le buone che con le cattive, in questo caso con le cattive, che disobbedire alla guida suprema che li vuole sudditi, servi e muti, porta a ritrovarsi attaccati per il collo a una gru di fabbricazione francese, tedesca, italiana o di qualsiasi altra nazione che continua a commerciare con un regime che, invece, dovrebbe essere costretto, anche in questo caso con le buone o con le cattive, a lasciare il potere e a finire nel dimenticatoio.

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