In questi tempi strani, scrivo strani per non scrivere tragici, l’informazione, nella quasi totalità delle nazioni occidentali e democratiche ha avuto un enorme calo di credibilità. Su questo è inutile discutere perché i pochi attenti con gli occhi aperti se ne sono accorti da soli, mentre gli altri… lasciamo perdere.
Come ha scritto Max Del Papa su queste pagine, repetita iuvant: “Il vice in pectore della presidenta multiglobal Kamala Harris teorizza: ‘Nessun diritto alla libertà di parola, se il governo decide che è disinformazione si proceda di conseguenza’ cioè con le misure repressive. Ovvero come in Inghilterra, dove gli arresti sono già partiti contro i fruitori dei social che, a detta del governo, ‘diffondono informazioni imprecise’. C’è un invito minaccioso dell’Esecutivo: “pensaci bene prima di postare'”.
Purtroppo per noi che ci ostiniamo a voler pensare e poi postare comunque, si presentano nel futuro tempi molto duri, come diceva John Belushi nel film Animal House: “Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”. E siccome certe notizie da certi angoli di mondo scomodi non vengono mai riportate le andiamo a cercare alla fonte anche se nel mondo perfetto di qualcuno questa ricerca della verità al momento, ma solo per il momento, è scortesia.
Presto però, appena verrà restaurato il MinCulPop fascista, no, scusate di sinistra, con tutte le sue deviazioni che vanno dalla cancel culture al woke passando per il Black Lives Matter, quelli che hanno fatto diventare l’acqua della Senna potabile, minerale effervescente naturale e oligominerale, diventerà da codice penale. Tranquilli, ci stiamo organizzando.
Scusate la disquisizione, parlavo di notizie da certi angoli di mondo nascoste dai giornalisti che lavorano per i media ufficiali e che sono andato a cercare alla fonte. E cosa scopro? Un canale in lingua farsi e inglese che racconta l’Iran. Quella ignorata.
In uno degli articoli viene riportato che in seguito ai tafferugli scoppiati all’interno del famigerato carcere Evin di Teheran il 7 agosto scorso, le prigioniere politiche, praticamente donne che si sono rifiutate di indossare il velo islamico in pubblico o che lo avevano ma non a norma secondo la polizia morale, secondo una nota del Dipartimento per le Pubbliche Relazioni dell’Organizzazione delle Carceri “non sono state picchiate”. Nella dichiarazione non è stato menzionato il motivo dei pestaggi e tutto questo, chiaramente, è successo senza “picchiare nessuno”.
In un’intervista con Iran International, il giornalista e attivista per i diritti umani Reza Akvanian ha affermato che l’Organizzazione delle carceri in Iran ha negato la violenza contro i prigionieri da parte delle guardie carcerarie nonostante due medici della prigione abbiano registrato ferite e lividi sui corpi delle detenute politiche e abbiano pubblicato rapporti di pestaggi sui prigionieri.
Iran International, la fonte delle notizie ignorate, ha riferito anche che giovedì 9 agosto 17 detenute sono rimaste ferite o sono svenute dopo che le guardie di sicurezza della prigione di Evin hanno attaccato le donne prigioniere politiche che protestavano contro l’esecuzione di Reza Rasai.
Reza Rasai, 34 anni, era stato arrestato durante le proteste anti governative del 2022 ed è stato impiccato nella città di Sahneh, nella provincia di Kermanshah, nell’ovest del Paese. Era stato condannato a morte con l’accusa di avere ucciso un membro delle Guardie della rivoluzione (pasdaran) nel novembre del 2022.
Molte organizzazioni internazionali si erano mosse a suo favore facendo notare che non c’erano prove della colpevolezza di Rasai che era stato costretto a confessare dopo essere stato picchiato, sottoposto a violenza sessuale e aver subito elettroshock. Oltre che per Reza Rasai, la pena di morte è stata già eseguita per almeno altri nove manifestanti che avevano partecipato alle proteste anti governative del settembre del 2022 che seguirono l’assassinio di Mahsa Amini.
La ragazza curda di 22 anni fu uccisa a Teheran mentre si trovava in custodia dopo essere arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto. Varisheh Moradi, Samaneh Asghari, Reyhaneh Ansarinejad, Sarina Jahani, Mahboobeh Rezaei, Narges Mohammadi e Parivash Moslemi, sono alcuni dei prigionieri che sono stati feriti in nel carcere di Evin il 7 agosto scorso. Anche Nasrin Khezri Javadi, Rana Kourkor, Narges Mohammadi, Sarvanaz Ahmadi e Hoora Nikbakht sono tra i prigionieri “svenuti a causa dello stress causato dall’attacco degli agenti”.
Ma nessuno, lo ripetiamo, “è stato picchiato”.
Tutto questo mentre un rapporto del 27 luglio ci racconta che da sabato 21 luglio a giovedì 26 luglio, almeno 27 prigionieri sono stati giustiziati nelle carceri di Urmia, Bandar Abbas, Birjand, Torbat-e-Jam, Khorramabad, Shiraz, Qaen, Qazvin, Qom, Karaj, Kermanshah e Mashhad e che secondo le organizzazioni per i diritti umani più di 345 persone sono state impiccate in varie prigioni in Iran dall’inizio di quest’anno.
Dato questo che si va ad aggiungere a un altro particolare importante, e cioè che quasi il 75% di tutte le esecuzioni registrate nel mondo lo scorso anno, il 2023, ha avuto luogo in Iran e che il 2024 le esecuzioni sono in crescita rispetto all’anno precedente.
Ma tutto questo non troverà mai posto in nessun giornale, in nessun servizio televisivo e non ci saranno manifestazioni oceaniche.
Ma peggio di tutto è che se prenderà piede il modus operandi che vediamo all’orizzonte, sarà anche vietato raccontarlo per non essere poi perseguitati dal novello sistema occidentale di sinistra che dice ciò che è vero e ciò che non lo è. Potrebbe anche andare peggio: potrebbe piovere.
Michael Sfaradi, 11 agosto 2024
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