Siamo dentro alla Prima Guerra Virale mondiale in cui tutti gli Stati si comportano secondo il vecchio adagio “ognuno per sé, Dio per tutti”. Da questo scenario l’Europa esce distrutta e l’Italia, senza che nessuno ancora stia pensando alla sua ricostruzione, è totalmente travolta dalla crisi economica, e soprattutto, a breve, da quella sociale. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, una commissione di economisti del calibro di Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni disegnò la ricostruzione dell’industria postbellica italiana nonché la riforma del fisco, da cui potremmo, peraltro, ripartire anche noi anziché continuare con inefficaci misure assistenziali in stile 5 Stelle.
Ma oggi abbiamo Giuseppe Conte, che preferisce selfie e inquadrature d’effetto anziché pensare, oltre all’emergenza sanitaria, ad un tavolo che pianifichi seriamente la ripresa. Un tavolo tecnico con una decina di personalità (industria, finanza, sindacati, cultura) che possa dare risposte concrete e formulare progetti di riconversione per quelle migliaia di piccole e medie imprese saltate per aria con il virus e per i milioni di prossimi disoccupati disperati.
Un Paese come l’Italia avrebbe tutte le carte in regola per risorgere da questa tragedia per la sua posizione geografica e per l’enorme appeal del ‘Made in Italy’ nel mondo. È di questi giorni proprio la notizia che una delle cause del primato del contagio in Italia siano i lavori tra personale italiano, soprattutto della Lombardia, e cinese per la realizzazione del centro residenziale Itaway su un’enorme area, con 5 miliardi di investimento, pubblicizzato per «permettere ai cittadini cinesi di godere dell’autentico Made in Italy senza dover uscire dalla città di Wuhan”.
Tra l’altro, l’Italia e quel che resta dell’Europa hanno le ore contate per tornare a ragionare sul pericolo di ingresso dalla Turchia di 150/200 mila migranti non più gestibili. Nello scacchiere mondiale lo scambio continuo di accuse tra Usa e Cina sembra evocare i tempi di una guerra fredda, con un Putin spettatore interessato e guardingo, nonché zar assoluto della sua Russia finché morte non lo separi. Tra la miriade di sconvolgenti effetti collaterali geopolitici del virus, uno è già graficamente evidente. La Cina si è riposizionata, considera apertamente gli Stati Uniti come una minaccia mentre Donald Trump, fautore dello slogan “America First”, mette Pechino e il “virus cinese” al centro di ogni male, con continue accuse di spiare tutto e tutti, come se oggi ognuno di noi non fosse già tracciato in ogni momento della sua vita. Alla fine, i vincitori saranno quelli che padroneggiano la tecnologia e acquisiscono un livello superiore di controllo sulle ‘forze naturali’.
Per l’Italia, si pone ora un dilemma di cuore: proseguire il matrimonio storico con lo zio Sam, confidando in un nuovo piano Marshall, oppure continuare a flirtare con la concubina Cina, entrando a pieno titolo nel percorso, già recentemente avviato su spinta grillina, della Silk Road, puntando anche ad avere un rapporto privilegiato con la Russia. Non v’è dubbio che l’economia cinese trascinerà la ripresa mondiale. Già adesso stiamo accogliendo a braccia aperte il supporto che ci viene dato in termini di materiale sanitario e di expertise medica. Ma se in passato i cinesi hanno già tentato di appropriarsi dei nostri gioielli tecnologici, oggi con il drammatico tracollo della Borsa potrebbero portarseli a casa con pochi spiccioli.