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L'annuncio della Lagarde sui tassi di interesse

L’Italia ora è nei guai: è finito “l’effetto Draghi”

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È tramontata, finita l’era Draghi in Europa. L’ex presidente della Banca centrale, oggi trasferitosi a Palazzo Chigi, aveva imposto una politica monetaria del denaro facile. Il che, in soldoni, vuol dire stampare moneta facendo comprare alle banche centrali titoli del debito pubblico e abbassare i tassi di interesse sotto zero. Si disse, allora, che, grazie a questa politica, Draghi salvò la moneta unica.

Il suo successore, la signora Lagarde, ha cambiato rotta. E lo ha fatto con un testacoda. Non solo ha detto che i tassi di interesse, visti gli aumenti dei prezzi, devono risalire, la qual cosa era ampiamente prevedibile. Ha fatto di più: non ha annunciato alcuna rete di protezione per la moneta unica, nel caso riprendesse la speculazione. Questo «non detto» sta spaventando i mercati.

Ieri all’asta dei Bot, i titoli del nostro debito ad un anno, i tassi di interesse sono schizzati dallo 0,1 per cento allo 0,9. Il differenziale (lo spread) tra i nostri titoli a dieci anni e quelli tedeschi ha toccato quota 230 punti base: nel senso che i nostri rendono il 2,3 per cento in più. La Borsa italiana ha fatto segnare il crollo peggiore d’Europa, di circa il 5 per cento: ad affossarla non solo le banche, zeppe di titoli di Stato che stanno perdendo valore, ma anche blue chips come l’Eni, che dovrebbero invece beneficiare dei massimi del petrolio.

La morale è una sola: dopo le parole della Lagarde, è ritornato a soffiare in Europa il pregiudizio sull’affidabilità dei conti pubblici italiani e sulla nostra capacità di fare ancora debito. Insomma, è finito l’effetto Draghi e del suo «whatever it takes».

Il paradosso è che oggi Mario Draghi è a Palazzo Chigi. E secondo molti avrebbe dovuto rappresentare una garanzia. Ieri i mercati non hanno ragionato così.

Un po’ per colpa nostra. In questi anni, anche con SuperMario, abbiamo aumentato la nostra spesa pubblica. Tra pochi giorni il governo Draghi elargirà un bonus da 200 euro a milioni di italiani, per 6,5 miliardi, che avrebbe potuto inventarsi anche uno spendaccione della Prima Repubblica.

D’altra parte la Bce ha cambiato maggioranza: i falchi comandano. E non hanno nessuna intenzione di adottare un atterraggio morbido dalle politiche della vecchia gestione. Hanno fatto capire che sono più interessati all’inflazione (il che non è ovviamente irragionevole, essendo questa la più ingiusta delle tasse) che alla tenuta dei cosiddetti Paesi periferici (Italia in primis).

Si potrebbe dire molto sulla droga immessa sul mercato, da Draghi in poi, stampando moneta come se non ci fosse un domani. Quel che è certo è che togliere ai drogati la merce tossica tutto in un botto e per di più nel mezzo di una guerra, non è l’atteggiamento più corretto: a meno che non si voglia far crepare il tossico.

Nicola Porro, Il Giornale 11 giugno 2022

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