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Lo Stato ha il diritto di sradicare gli ulivi

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Poco più di un lustro fa, nell’azienda agricola condotta da mio fratello Gian Michele, arriva una comunicazione ufficiale.

Il mittente è l’acquedotto pugliese. Spettabile Tenuta Rasciatano, è il nome della nostra azienda di famiglia, dobbiamo fare passare un tubo anche nelle vostre terre. Inizieremo presto gli scavi, l’espropriazione del terreno e tutte le opere utili all’operazione. Punto.

Noi siamo in Puglia, abbiamo uliveti secolari, facciamo olio e vino. La faccio breve: nel giro di un paio di mesi arrivano le ruspe, un po’ di cemento, e poco più di duecento olivi secolari vengono rasi al suolo. Pubblica utilità.

Quando lo Stato ti entra in casa e decide come arredare il tuo appartamento, un po’ ti scoccia. Eppure lo stesso padre dei liberali, anzi oggi si direbbe liberisti, Adam Smith, alla fine del 700, scriveva: «Lo stato serve per tre cose. La difesa, la giustizia e per realizzare quelle opere pubbliche che i privati da soli non farebbero mai». Non so se un acquedotto, gestito all’epoca molto male, dalla Regione Puglia, era ciò a cui pensava l’economista scozzese.

Ma il principio che la proprietà privata, privatissima come la mia terra, possa subire una ferita dall’intervento dello Stato, anche per un liberista acceso come chi scrive, purtroppo si deve prendere in considerazione.

Mai mi sarei permesso di infastidire i lettori del nostro Giornale, con questa piccola (per noi grande) vicenda domestica. Ma quando leggo del casino che stanno facendo per 212 olivi salentini e secolari come i nostri, che vengono momentaneamente spianati per fare arrivare un tubo fondamentale per i nostri approvvigionamenti energetici, be’ mi viene il sangue al cervello.

Questi no-tap, dove erano quando la sinistrissima regione Puglia espropriava per il suo acquedotto? Un nostro ulivo andriese, vale forse meno di una pianta simile nel Salento?

Invece di stare appresso a queste sciocchezze, quella salentina è veramente roba da nulla, i fan della nostra identità enogastronomica e paesaggistica, si occupassero delle cento follie con cui stanno distruggendo l’agricoltura meridionale. Solo la Confagricoltura, con scarso seguito nella politica, ha fatto il diavolo a quattro sulla norma del caporalato, un kalasnikov giudiziario puntato su chiunque assuma un operaio. Si occupi del fatto che hanno cancellato i voucher, che in agricoltura erano stabili nel loro utilizzo.

Siamo vittime del clamore agitato da pochi esaltati. Un caso di cronaca nera diventa la regola su cui legiferare, duecento piante nel Salento, una porzione di quelle distrutte per motivi pubblici negli ultimi anni, diventano un caso nazionale.

Non si difende la nostra identità, con gli schiamazzi no-tap, ma rendendo le nostre aziende produttive. Liberandole dalla mole di adempimenti burocratici che le sommergono. Utilizzando il buon senso nei controlli, che sono diventati asfissianti. Insomma lasciandoci fare il nostro lavoro.

Rinuncerei ad altre cento piante, se solo una parte di queste richieste venissero davvero esaudite.

Ps. Tutti che si improvvisano agricoltori, contadini, ma in un campo ci siete mai stati per più di una bella giornata di sole?

Nicola Porro, Il Giornale 30 marzo 2017

 

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