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Lo schiaffo a Conte? È il Vaffaday di Grillo che presenta il conto

L’ex premier colpito prima di un comizio a Massa. L’aggressore sarebbe un ex elettore M5s deluso

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Nel giorno dell’archiviazione della pandemia dall’Oms, l’ex primo ministro Giuseppe Conte a Massa prende uno schiaffo da uno che subito tutti definiscono svalvolato, novax, squilibrato ma, ad essere più onesti e precisi, è solo uno che se l’era legata, che non ha mai dimenticato l’incubo che, archiviazioni o no, non smettiamo di portarci dentro. La storia sa vendicarsi in modi a volte crudeli, altrimenti geniali, eventualmente entrambi: l’insofferente è un ex elettore grillino, sebbene il Movimento smentisca sia stato mai un vero militante, e il manrovescio ha il doppio sapore dell’amante cornuto e mazziato. “Uno schiaffo pedagogico, l’ha definito l’autore. La politica è tutto uno schiaffo da Anagni a Massa passando per quello, futurista, del capo neofascista Iannone a Filippo Rossi.

Insomma si menano tra loro, gli orfani di Casaleggio e Grillo che ci promettevano la palingenesi politica e si sono dispersi per i mille rivoli di un potere anche sordido, chi nel sottogoverno partecipato, chi nel Golfo Persico. Nella scontata solidarietà della politica, che quando il gioco si fa duro e magari preoccupante si rinserra nelle vecchie solidarietà di casta avvolte nella complicità umanitaria; ma, come direbbero a Torino, esageruma nen: la violenza se mai sta in Francia, della qual cosa il governo si duole al punto da praticarla su quello italiano con parole ignobili e brutali, pretestuose per dirottare certe responsabilità nel contempo facendo il gioco di camorre europeiste sulle quali Giorgia Meloni dovrà prima o poi mettersi l’anima in pace: può adeguarsi, ammorbidirsi quanto le pare, può viaggiare, incontrare, disporsi a dialogo e a collaborazione, ascoltare i consigli dei burocrati più vicini ma l’Europa e in essa i singoli stati a cominciare dalla Francia le resteranno ostili, infidi, pronti a sabotarla appena possibile.

L’Oms, dunque, sancisce la fine dell’emergenza pandemica. Dopo tre anni. Naturalmente ne approfitta, sorretta da una informazione oggi come allora complice e pertanto corresponsabile, per rilanciare le false verità che in questi tre anni ci hanno avvolti fino a stritolarci, a soffocarci: quanti morti, sette milioni? Ma no, ipotizziamone venti, e diciamo che il brutto deve ancora venire, che bisogna prepararsi a nuovi contagi con nuove reclusioni planetarie. O, come ha detto il Ricciardi già attore neomelodico, poi misteriosamente consigliori di Speranza: “Non è un liberi tutti”. La frase più infame, più oscena, quella che è servita ad infliggere ogni genere di sopruso e di umiliazione. Sette milioni, venti milioni di caduti da Covid? O per politiche sanitarie sbagliate, per tachipirina e vigile attesa, per respiratori che non andavano proprio usati come dicevano medici quali De Donno, indotto a suicidio da una campagna diffamatoria insostenibile? Tutto è stato possibile in questi tre anni e tutto resta possibile, quantomeno a livello di menzogna retrospettiva, per la semplice ragione che non è mai stato raggiunto uno straccio di certezza quanto a origine, azione, consistenza del morbo e relativi antidoti; e non c’è stata certezza per l’ancor più evidente ragione che la Cina ha ostacolato qualsiasi comprensione e le grandi case farmaceutiche avevano fretta di concludere l’affare da cento miliardi di dollari solo per cominciare.

Così si spiegano i “non ti vaccini, ti ammali muori” di Draghi quando era l’esatto contrario perché questi sieri, che proprio vaccini non sono, sui quali una comunità scientifica tetra, da affaristi senza scrupoli come Fauci, almeno secondo le autorità americane che lo hanno messo sotto inchiesta, o da arrampicatori come i nostri virologi, queste pozioni erano più “aeroplani lanciati mentre dovevamo ancora finire di costruirli” come ammesso dalla Janine Small di Pfizer. Nel buio, è parsa a quasi tutti un’idea geniale mettere sotto sequestro la popolazione mondiale, con i governanti, trasformati in carcerieri, ebbri di potere, che dal Regno Unito all’Italia, dall’America alla Patagonia, si istigavano: “Non serve a niente ma lo facciamo”.

Tra questi uno dei più zelanti proprio il nostro Conte, politico assemblato da una società di informatica e subito esaltato come lo sono i parvenu del potere. Ora, sarà anche sgradevole dirlo ma se uno lo aspetta al varco per mollargli un ceffone, c’è proprio da stupirsi? Conte è quello che, durante uno dei suoi lockdown “inutili ma li facciamo”, ha indetto, ricordate?, gli stati generali a Villa Pamphili, dolci serate romane, blindate ma in un altro modo, tra impuni piacevolezze e mediatiche svenevolezze, una scena che aveva del macabro come ce l’ha il regime quando si compiace di sé. La cantante Elisa a far rilassare lorsignori, la tracotanza di conferenze stampa officiate da Casalino nelle quali i rarissimi cronisti impiccioni venivano cacciati e aggrediti nella connivenza pavloviana dei servi. Per non dire degli Arcuri, i Locatelli, i Brusaferro e tutte le figure istituzionali che spiccavano per arroganza e presunzione.

Il peggio di tutto fu l’odio fanatico rivolto verso questi per brevità chiamati novax, gente a volte in malafede o lunatica, mescolata però ad altra gente, la maggioranza, semplicemente cauta, confusa, preoccupata e con ragioni che alla prova dei fatti si sarebbero rivelate più che fondate. Ma tutti, dal Colle a palazzo Chigi, giù, giù fino agli uscieri e agli impiegati, ai baristi, agli autisti, ad additarli come untori, capri espiatori nel trionfo del male demoniaco che si scatena quando una società ha perso la sua sensibilità democratica, la sua dignità democratica. Adesso dovremmo noi essere perdonati, o al limite perdonarci a vicenda, come in modo ignobile pretendono i più carogna e sprezzanti di fronte alla mala parata della realtà?

Possiamo anche indignarci del buffetto a Conte, non al prezzo però di sospingere nell’oblio un regime concentrazionario dove nessuno si è salvato umanamente e nessuna scelta si è mai confermata decente, utile, o almeno necessaria. Questo Giulio Milani si è subito riciclato in una lista civica, vuole entrare nel sistema che sostiene di odiare: certo, il Covid con la scusa della libertà ha alimentato anche una genia di opportunisti che non sai mai se considerare più lunatici o più cinici, ma quando su un suo profilo social Milani scrive: “Mi sono dichiarato ‘prigioniero politico’ tre giorni dopo la dichiarazione di lockdown totale, confinato in casa com’ero, l’attività lavorativa devastata, i figli reclusi come sonnambuli, la gente impazzita di terrore e all’improvviso incattivita, feroce, divisa su tutto e incapace di affrontare il senso della vita e della morte. Penso che nel 2020 abbiamo toccato il fondo della nostra civiltà”. Ci dispiace, non scrive niente di folle o di sbagliato; andò esattamente così, non fosse che nei due anni successivi andò perfino peggio. Se questo grillino deluso, manesco è un maiale o un malato di mente, allora lo sono, lo siamo stati a milioni.

Max Del Papa, 6 maggio 2023