Alla fine è arrivato lo schiaffo di Viktor Orban. Come riportato da Radio Free Europe, che cita fonti diplomatiche all’interno del paese, l’Ungheria ha preso la decisione di ritirarsi dalla Corte Penale Internazionale (Cpi). La notizia arriva in un momento particolarmente delicato, con l’attesa a Budapest della visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, contro il quale pende un mandato d’arresto emesso dalla Cpi in relazione al conflitto a Gaza.
Secondo quanto riferito, il ministro della Giustizia ungherese Bence Tuzson ha discusso del ritiro della Corte con i diplomatici durante una riunione degli ambasciatori tenutasi la scorsa settimana presso il Ministero degli Esteri e del Commercio. L’incontro, riferiscono le fonti, si è svolto in un clima di massima sicurezza, con la sala monitorata da telecamere dotate di software di riconoscimento facciale per assicurarsi che solo gli invitati fossero presenti.
l governo ungherese dunque intende presentare una proposta di risoluzione al Parlamento riguardo al ritiro dalla Cpi, e se la maggioranza accetterà la proposta, il processo di uscita sarà ufficialmente avviato. Secondo una delle fonti, l’intero iter potrebbe durare fino a un anno. La decisione di Budapest appare legata anche alle posizioni dell’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sebbene la scelta di ritirarsi dalla Corte sia stata presa settimane fa, il governo ungherese ha atteso il pronunciamento di WashingtonDopo che il 5 febbraio Trump ha annunciato l’imposizione di sanzioni alla Corte dell’Aia in risposta al mandato d’arresto contro Netanyahu, il governo di Orban ha interpretato tale posizione come un via libera a procedere con il ritiro.
Appena ventiquattro ore fa un portavoce della Cpi si era rivolto senza mezzi termini nei confronti di Budapest in vista dell’arrivo di Netanyahu: “La Corte fa affidamento sugli Stati per l’esecuzione delle sue decisioni. Non si tratta solo di un obbligo giuridico nei confronti della Corte stessa come previsto dallo Statuto di Roma, ma anche di una responsabilità verso gli altri Stati parte”. “Non spetta ai singoli Stati valutare unilateralmente la legittimità o la validità delle decisioni della Cpi” ha aggiunto il diplomatico. “Qualora uno Stato nutra dubbi o perplessità in merito alla cooperazione con la Corte, ha la possibilità di consultarsi con essa in modo tempestivo ed efficace” ha precisato in seconda battuta, ricordando inoltre che “l’articolo 119 dello Statuto di Roma stabilisce chiaramente che ogni controversia concernente le funzioni giudiziarie della Corte deve essere risolta dalla Corte stessa”.
La reazione di Bruxelles non s’è fatta attendere. Rispetto alle notizie di un possibile ritiro dell’Ungheria dalla Cpi, reagiremmo “con profondo rammarico se uno qualsiasi dei nostri stati membri decidesse di ritirarsi dallo Statuto di Roma”, il commento della portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper: “Per riferimento, segnalo l’articolo 127 l’articolo 127 dello Statuto di Roma che consente agli stati di ritirarsi dalla Cpi mediante notifica scritta indirizzata al segretario generale dell’Onu. Tuttavia, tale ritiro ha effetto un anno dopo la notifica del depositario e non ha effetto sul dovere di cooperazione dello Stato in relazione alle indagini”. La diplomatica ha spiegato che la posizione del governo europeo sulla Cpi è molto chiara, pieno sostegno ai principi, all’indipendenza e all’imparzialità delle toghe: “L’Ue è fortemente impegnata nella giustizia penale internazionale e nella lotta contro l’impunità. Vorrei anche registrare le conclusioni del Consiglio” del 2023 che ha invitato “a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche tramite la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti e la stipula di accordi volontari”. (
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La svolta dell’Ungheria segue quella impressa da Trump, che a inizio febbraio ha sanzionato la Cpi, accusandola di “intraprendere azioni illegali e senza fondamento contro l’America e il nostro stretto alleato Israele”. Il testo prevede il divieto di ingresso nel Paese a dirigenti, dipendenti e agenti della Cpi, nonché ai loro familiari più stretti e a chiunque si ritenga abbia assistito il lavoro investigativo. Previsto inoltre il congelamento di tutti i beni detenuti negli Usa da queste stesse persone. Nel mirino le indagini sui presunti crimini di guerra commessi dai soldati americani in Afghanistan e dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza.
Anche l’Italia deve fare i conti col pressing della Cpi. Dopo l’apertura del fascicolo su Roma per il caso Almasri – il comandante libico rimpatriato nonostante il mandato di arresto che pendeva su di lui – i giudici hanno avviato un’inchiesta formale chiedendo al governo di Giorgia Meloni spiegazioni, ipotizzando che le modalità di azione siano state “non conformi” e “inadempienti” rispetto agli obblighi di un Paese che ha firmato lo Statuto di Roma.
Franco Lodige, 2 aprile 2025
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