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Lo scontro élite-popolo? Una scimmiottatura della lotta di classe di Marx

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Coloro che vaneggiano di élite e popolo senza sapere che si tratta di una scimmiottatura della scimmiottatura della lotta di classe inventata da Marx tra borghesia e proletariato appartengono all’élite dei fessi o dei furbi. Marx fu un cattivo interprete della dialettica di Hegel della quale in teoria non capì nulla mentre in pratica mise il cappello sui conflitti della storia innalzando a categoria di scienza ciò che era nuda realtà empirica. La teoria della lotta di classe non ha nulla di scientifico mentre si è rivelata una potente arma di propaganda politica che ha trasformato il risentimento – che è sempre il sentimento più diffuso dalla notte dei tempi – in coscienza di classe al fine di instaurare sulla povera classe dei proletari la dittatura dell’élite del Partito comunista. Quanto avviene oggi con la tragicommedia della propaganda via social della contrapposizione tra élite e popolo è una maldestra riedizione dell’invenzione marxista che dà ragione a Marx almeno in questo: “La seconda volta è una farsa”.

Il 14 luglio 1789 in Francia aveva fornito ai borghesi europei che vivevano ancora sotto i dispotismi illuminati, che iniziavano a spegnersi, il modello della lotta politica: la rivoluzione. Marx creando l’Ideologia per la coscienza di classe e invitando i proletari di tutto il mondo a unirsi e organizzarsi nel Partito per prendere il potere indicava un modello sicuro: la rivoluzione. Sennonché, mentre alla rivoluzione francese corrispondeva un soggetto sociale capace di creare lo Stato di diritto – modello continentale del costituzionalismo inglese – alla rivoluzione comunista corrispondeva un soggetto sociale che non avrebbe creato bensì distrutto lo Stato di diritto e si sarebbe incamminato sulla “via della schiavitù” sottomettendosi all’élite degli intellettuali del Partito, il moderno Principe secondo il leninista Gramsci.

Da questa storia bisognerebbe ricavare almeno due lezioni.

1. L’unica rivoluzione politica possibile e riuscita della storia è quella borghese.

2. Chi lotta per abbattere lo Stato di diritto – o il “sistema” o l’élite come si usa con grande facilità dire oggi –  sta partecipando all’uccisione della propria libertà.

Ma perché la rivoluzione borghese è l’unica possibile? Perché la borghesia non è una vera classe sociale ma una sorta di anti-classe o di classe aperta o classe non-classe. La borghesia riesce nell’impresa perché, come sapevano sia Hegel sia Marx, ha il suo valore nel lavoro. È quest’ultimo – il lavoro – che rende autonomo il borghese e gli dà la possibilità di creare uno Stato che garantisce la libertà di tutti, anche di chi non lavora o perché non può o perché non vuole. Ma il lavoro fa anche qualcosa in più: fa della borghesia la “classe media” nel senso che è la classe che proprio perché lavora è capace di mediare tra gli opposti e così garantire la libertà. Il lavoro è opera di mediazione. Non è un caso che la borghesia è attaccata sia da destra – gli aristocratici, i reazionari, i nostalgici dell’Ancien Régime, i contro-rivoluzionari – sia da sinistra – i socialisti, gli utopisti, i comunisti, i rivoluzionari – ossia da coloro che non vedono nel lavoro un valore. I primi si astengono dal lavoro secondo privilegio, i secondi ritengono che il lavoro sia da superare con la società degli eguali che implica la fine della libertà.

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