La scomposta e irrituale conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte con l’invettiva contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni, peraltro destinatari di accuse infondate, ha infranto quel clima di unità nazionale imposto dall’emergenza pandemica. Conte ha abusato della sua posizione istituzionale per brutalizzare quella componente, l’opposizione, che qualifica il sistema politico come democratico.
Da un mese l’Italia è attorcigliata da un lucchetto che obbliga i cittadini a rinserrarsi nelle proprie abitazioni e che avvilisce migliaia di partite iva e di autonomi, privandoli di reddito. Le misure disposte dal governo sono state osservate con disciplina in nome di quella responsabilità che il premier Conte ha sempre innalzato a faro di un percorso disagevole, ma tassativo, per spezzare la catena del contagio. Quel lume di riferimento è stato spento in una diretta televisiva dall’avvocato di Volturara Appula con un’arringa accusatoria, senza contraddittorio, rivolta ai rappresentanti dell’opposizione indicati falsamente come fautori del famigerato Mes e causa dell’indebolimento del Paese nella trattativa in sede europea.
Un presidente del Consiglio che si sottrae alle sue responsabilità e addita la Lega e Fratelli d’Italia come sabotatori dell’interesse nazionale, con la menzogna documentabile di attribuire a Giorgia Meloni incarichi di governo all’epoca dell’approvazione del Mes, certifica la propria inadeguatezza. Per onore di verità, il Trattato che ha istituito il Meccanismo europeo di stabilità è stato firmato il 2 febbraio 2012 e approvato dalle Camere nel luglio dello stesso anno con il governo Monti in carica. La Meloni non era ministro di quel governo, espressione di un’operazione “golpista” tecnocratica, e non votò il testo del Mes in Parlamento. La Lega Nord con Roberto Maroni fu l’unico partito a esprimere un dissenso deliberato sul Fondo salva-Stati.
Dunque, Conte ha mentito sapendo di mentire, provocando una scintilla polemica che è divampata in una zuffa mediatica di cui il Paese non ha bisogno in questa fase. Conte personifica il declino della politica, il bifronte disinvolto a capo di due governi con culture opposte, che non riesce a parlare alla testa e al cuore degli italiani ma alla loro pancia. Il ventre, tuttavia, inizia a brontolare e non si sfama con le ciance e le promesse vane, pretende nutrimento e l’operatività di quelle risposte per il momento solo proclamate.
I 600 euro da erogare agli autonomi si sono inceppati negli ingranaggi farraginosi della burocrazia e alle imprese è stata annunciata una massiva liquidità finanziaria da mobilitare, però, con l’indebitamento, come se il naufrago ostaggio delle onde tumultuose venisse soccorso con il salvagente zavorrato dal piombo facendolo inabissare anziché dotarlo di una scialuppa di salvataggio. Dinanzi a tali fallimenti Conte, pur di sopravvivere alle tensioni interne al governo, rapisce l’attenzione degli italiani costretti nelle loro case, impadronendosi della comunicazione pubblica, per scagliarsi contro le opposizioni a cui addebita negligenze che non le appartengono.
Una caduta di stile perché ci aveva assillato con appelli alla coesione, inaugurando la stagione di “salute nazionale” dettata dalla straordinarietà e dall’imponenza dell’emergenza.