Politica

Lo squallido silenzio su Prodi ha un secondo fine (e fa schifo)

Giornali, intellettuali e giornalisti zitti e muti di fronte alla tirata di capelli dell’ex premier. Ci considerano sottouomini, ghenga, roba che è giusto, perfino doveroso aggredire?

Romano Prodi capelli
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Tra gli effetti avversi del Manifesto di Ventotene di impronta stalinista o trozkista come corregge il prof. Giulio Savelli, avversi per chi lo porta in processione, favorevoli (per eterogenesi dei fini) per chi non ne fa il suo Vangelo, quello di avere finalmente chiarito la matrice guerresca in seno ai piddini per la pace, piddini europei riarmati: l’elmetto ci vuole, in effetti, non per i cosacchi al Brennero ma contro i vecchietti della sinistra alla mortadella o al risotto che ti prendono per i capelli, che ti vogliono scagliare in faccia un libro o, chissà, una chiave inglese in memoria dei vecchi tempi.

Nel silenzio e nel consenso degli altri, in particolare dei giornalisti impegnati contro l’odio, il maschilismo tossico. Franco Lodige si chiede, retoricamente, dove sia l’Ordine, che ci stia a fare, ma la questione temiamo vada oltre il doppiopesismo in seno alla categoria: qui si tratta di destabilizzare, di provarci almeno, il potere nascente di Giorgia Meloni vista come usurpatrice: in questa chiave, ogni attacco, volgare, aggressivo, manesco è legittimo, la giornalista maltrattata di turno non è molestata in quanto tale ma come elemento presunto di quel potere, “sicari di regime” li chiama Giannini; e c’è la spersonalizzazione tipica delle dittature, c’è la disumanizzazione per cui, come dicevano i brigatisti, “io sparo al simbolo, alla divisa, se dentro c’è uno io che colpa ne ho?”.  In questa ottica, l’Ordine nel suo assistere indifferente assume quasi un senso razionale: se la vedessero loro, la questione non è giornalistica, non è legata all’informazione, è politica.

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Chiaro che stiamo forzando la comprensione, ma neanche tanto. Se si considera un contenuto, sempre sulla X del tecnonazista Musk, che più lo esecrano e meno lo abbandonano, di Luca Bottura. Scrive questo: “Prodi ha fatto benissimo. Era ora che qualcuno desse al retequattrismo la risposta che merita. Peccato solo sia toccato a chi esegue ordini e non alla ghenga che ha trasformato una gran parte del giornalismo italiano nella cinghia di trasmissione della produzione di odio”. È, la si metta come si vuole, squadrismo puro, questo sì di stampo fascistoide a partire dal linguaggio, anche se l’accenno alla produzione assume un respiro evocativo inconfondibile, ventoteniano. C’è il disprezzo esibito, insultante, che considera ghenga una squadra giornalistica, che la priva di dignità, di legittimità, ma non basta: subito sotto interviene, puntuale, una parlamentare piddina, addirittura ex viceministro, la Sandra Zampa, a soffiare sul fuoco, a esasperare il concetto: “Hai ragione ma anche chi è segue dovrebbe avere una dignità”. Al netto dei refusi da tastiera – i piddini non rileggono, e forse neppure leggono – c’è la conferma che un certo modo di fare le domande va punito in tutte le sue articolazioni, dall’alto al basso, fino a “chi segue”, e meglio ancora se è una donna.

Uno si chiede: dove sta l’Ordine in questo caso? Sta altrove, come sempre, sta, apprendiamo da “la Verità”, a organizzare corsi di formazione, obbligatori, del genere “Diversity, oltre i confini di specie: verso un’informazione antispecista”, che sarebbe obbligare a scrivere in un certo modo sulle tematiche legate alle specie, ma poi, per estensione, alle razze, insomma si rifluisce al solito divieto di “odiare” chi ci odia e ci vorrebbe staccare la testa con la scimitarra (chi scrive è effettivamente antispecista e convive con gatti e cani, ma non è disposto a farsi prendere in giro né a farsi imporre un’agenda sotto dettatura: difatti dall’Ordine se n’è andato a suo tempo, quando ricevette rappresaglie per non avere sottoscritto la santificazione di Greta Thunberg). Questo corso viene programmato presso la sede di Repubblica e partecipato dal direttore di Repubblica, Orfeo, oltre ad altri del gruppo. Gruppo, non ghenga, per questa volta. Ha senso aspettarsi ancora risposte? Il blocco sedicente progressista Repubblica/Stampa/Corriere che sostiene Prodi, che ne censura o difende le sbroccate, non teorizza di fatto la prepotenza contro altri colleghi, spersonalizzati, considerati meri strumenti di un potere percepito come avverso?

Gli umoristi senza battute e la politica senza ribattute si distinsero per particolare veemenza, diciamo, ai tempi del Covid, scagliandosi a testa bassa contro chi non si vaccinava plurime volte, ipotizzando punizioni più o meno inquietanti. Non è mai risultata alcuna iniziativa dall’Ordine circa la colata di odio, di volgarità, di minacce, da tutto un milieu giornalistico verso chi non si arrendeva ad una Narrazione mendace e autoritaria; men che meno dopo che la sacra scienza si è incaricata di smentire quella impostazione dimostrandone i disastri e tragici disastri, insieme a pochissimo giornalismo non organico, non foraggiato dai vari Zuck, Soros, Usaid, Ue: tutta roba certificata e riconosciuta.

Noi ghenga, noi feccia, per estensione dal “retequattrismo” anche su questa testata, che scopriamo stare nel mirino di parecchie altre, forse non altrettanto diffuse, ci limitiamo a prendere atto che certi arditi da tastiera, che probabilmente fuggirebbero davanti a un ragazzino con la fionda, ci considerano un po’ sottouomini, ghenga, roba che è giusto, perfino doveroso aggredire, meritevoli di tirate di capelli, di orecchie, di libri in faccia, di quello che si vuole in quanto strumenti, simboli, fantocci da adunata, da sabato fascista. Noi, sia chiaro. Non loro, noi.

Max Del Papa, 25 marzo 2025

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