Pillole Ricossiane

Lo statalismo non “corregge” il capitalismo. Lo avvelena

Gli scritti di Sergio Ricossa, economista e liberale vero, per leggere il presente

Capitalismo Sergio Ricossa @ Bulat Silvia tramite Canva.com

Le lusinghe dello statalismo continuano ad affascinare coloro che intendono risolvere ogni cosa aumentando la spesa pubblica prima di preoccuparsi che la stessa sia bene impiegata. La sirena incantatrice continua ad essere quel John Maynard Keynes che da circa un secolo influenza le politiche economiche della maggioranza dei governi europei (e non solo europei) e che ancor oggi incontra pochi oppositori.

Difendere la libertà e la responsabilità individuale, il libero mercato e il controllo della spesa pubblica non è mai stato facile, perché ha sempre significato opporsi ad una estesa maggioranza di adepti alle politiche “espansionistiche” keynesiane, che ancora incitano a “spendere di più” invece che a “spendere meglio”.

Il “padre” dello statalismo moderno ha sempre avuto molti sostenitori ma, anche in periodi difficili per le ridotte forze liberali e liberiste, qualche lucido gigante della tradizione liberale non ha mai ceduto alle lusinghe delle sirene stataliste. In Italia Sergio Ricossa e Bruno Leoni costituirono “l’avamposto” che non è mai indietreggiato di un passo di fronte a quella marea dilagante, che si ripresenta puntuale anche oggi con roboanti piani di spesa su scala continentale, sempre con decisioni calate dall’alto, che stabiliscono come e dove impiegare enormi quantità di denaro prelevato dal solito contribuente.

Scriveva Sergio Ricossa nel libro “Da liberale a libertario” (Leonardo Facco Editore – 1999) a proposito delle posizioni di Bruno Leoni: “Le leggi non devono essere il capriccio di uomini, nemmeno di maggioranze, per cui si vada a letto mentre vigono certe norme e ci si svegli con nuove norme completamente diverse […] Leoni si chiedeva con che diritto i legislatori stabiliscono il loro diritto, la loro volontà, e non ne trovava alcuno se manca il consenso generale. Il quale però, si forma solo in società non troppo estese, non troppo eterogenee, non troppo faziose. Ecco le uniche società che meritano il titolo di democratiche e non mentiscono fregiandosene”.

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Tutto viene pianificato dall’alto, sia quanto prelevare dal contribuente e sia come spendere quell’enorme ammontare di denaro che magicamente da privato si trasforma in pubblico, cioè a disposizione del pianificatore politico-burocratico, con gli immancabili effetti collaterali che si configurano come gravi sprechi ed inefficienze.

Scriveva Ricossa: “Il socialismo pianifica a un costo troppo elevato. Potrebbe anche permetterselo se fosse universale, se non fosse in gara coi capitalismi, se non dovesse subire confronti che mortificano perfino i suoi amici e simpatizzanti. I suoi ideali affascinanti sono così onerosi, che perfino gli affascinati esitano a pagarli e cercano chi li paghi in loro vece”[Ibid].

È il mito keynesiano che vorrebbe con le sue ricette salvare il capitalismo dai suoi mali e invece, all’atto pratico, lo avvelena. Una serie infinita di “ideali affascinanti ma onerosi” che giustificano ogni volta un nuovo prelievo “a fin di bene”.

“Cresce nei secoli le perfidia dei veleni tirannici, bisogna che cresca pure l’efficacia degli antidoti liberistici, se vogliamo sopravvivere. Peccato che l’antidoto di Leoni sia così poco conosciuto soprattutto in Italia, dove una valanga di leggi insulse, se non ingiuste, non basta poi neppure a sostenere un minimo di ordine sociale” [Ibid].

Passando dall’Italia all’Europa si fa un salto di ordine di grandezza: tutto si amplifica, l’enormità delle cifre, degli sprechi discrezionali, e il volume della “valanga di leggi insulse”!

Fabrizio Bonali, 21 settembre 2024

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