Ne consegue un saldo antistatalismo, sorretto da argomentazioni di natura economica, quale la convinzione che non esistano beni pubblici, dal momento che, essendo i soli individui in grado di desiderare e di agire in vista di un fine, la volontà collettiva è solo un raggiro, così come l’inevitabile inefficienza dei servizi pubblici a causa dell’assenza di concorrenza, o semplicemente l’inadeguatezza storicamente dimostrata dell’interventismo in economia; ma soprattutto un antistatalismo basato sugli stessi diritti naturali di proprietà che guidano l’etica privata, a partire dai quali si può asserire che, a causa del monopolio della violenza e dell’usanza ladresca della tassazione, lo Stato non è altro che «una vasta organizzazione criminale» più fortunata e più longeva di qualsiasi mafia privata.
Al cuore della filosofia libertaria di Rothbard c’è dunque la libertà come fine politico supremo, da realizzare sulla base di un’autentica passione morale per la giustizia, con i mezzi più efficaci e immediati e che non entrino in contrasto con il fine stesso, rifuggendo perciò il paziente gradualismo e auspicando la nascita di un impavido movimento di happy warriors libertari impegnati, custodi della vigilanza delle coscienze.