Un anno ancora. O forse poco più. Dopodiché Vladimir Putin avrà esaurito le risorse per portare avanti la sua guerra di annessione. Almeno nelle modalità e con l’intensità con cui è stata condotta in quest’ultimo biennio.
Lo si evince dalla bozza del bilancio di previsione 2025-27 che il governo russo ha presentato nei giorni scorsi alla Duma, che prevede un ulteriore incremento delle spese militari, già pari al 6% del Pil.
Per l’anno 2025 il Cremlino è intenzionato a destinare il 32,5% della sua spesa alla difesa. Ennesimo incremento ed ennesimo record rispetto al 28,3% registrato nel 2024. Tradotto in cifre, si tratta di circa 3 trilioni di rubli in più (l’equivalente di 32 miliardi di dollari) rispetto a quanto stanziato per l’anno corrente, aumento che spingerà la spesa militare fino a quota 13,5 trilioni di rubli (oltre 145 miliardi di dollari). Numeri da capogiro, che riportano il livello della spesa militare della Russia di Putin a quello dell’era sovietica.
Ad oggi, tali ingenti investimenti effettuati nel comparto militare hanno contribuito a sostenere l’economia della Federazione russa, il cui Pil ha peraltro fatto registrare dei significativi incrementi nel 2023 e nei primi trimestri del 2024. Tanto che, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, alla fine di quest’anno Mosca dovrebbe poter crescere del 3,2%, per poi rallentare e scendere intorno all’1,8% nel 2025. Una crescita, tuttavia, figlia di una politica di “keynesianismo bellico”, già vista nella Germania hitleriana degli anni Trenta, difficilmente sostenibile nel medio-lungo periodo.
Per avere contezza di ciò di cui si parla si guardi a un indicatore su tutti: il tasso di inflazione, che nelle ultime ha già sfondato il tetto del 9%, tanto da spingere la Banca centrare russa ad aumentare il tasso di interesse di riferimento al 19%. Un livello eccezionalmente elevato che rappresenta il risultato di un circolo vizioso generatosi a seguito degli stimoli orientati allo sforzo bellico, che hanno fatto schizzare verso l’altro il livello generale dei prezzi.
Se dunque fino a questo momento l’industria bellica ha sostenuto il Pil e compensato l’effetto negativo derivante dalle sanzioni, è altrettanto vero che oggi l’economia russa risulta dopata da una forsennata produzione di armamenti che rischia di giocare un brutto scherzo a Putin. D’altronde, è stata la stessa governatrice della Banca Centrale russa, Elvira Nabiullina, a segnalare la fragilità di questo modello sul medio e lungo termine e a mettere in guardia il Cremlino.
Mosca non può pensare di vivere di sole armi. La domanda interna per la difesa non è infinita, così come non è ipotizzabile aumentare la capacità di produzione del complesso bellico all’infinito. E poi, c’è da considerare la minaccia derivante dall’impennata dell’inflazione, che combinata con l’elevato livello di indebitamento e con l’effetto a lungo termine delle sanzioni internazionali, potrebbe finire per strozzare l’economia russa e lasciare al verde lo Zar.
Salvatore Di Bartolo, 6 ottobre 2024