Nessuna civiltà viene distrutta dall’esterno senza essere prima caduta essa stessa, nessun impero viene conquistato dall’esterno se non si è prima suicidato. E una società, una civiltà, non si distrugge con le sue mani se non quando ha cessato di comprendere la sua ragion d’essere, quando l’idea dominante attorno a cui essa fu in origine organizzata gli diviene come estranea”. In questi termini si esprimeva lo storico francese René Grousset riferendosi alle cause che portarono alla crisi e poi al crollo dell’impero romano.
La rovinosa caduta di Roma rappresenta, infatti, un’emblematica testimonianza di come tutte le grandi civiltà si estinguano per effetto di variabili interne, più che di attacchi esterni. Nel caso specifico dell’impero romano, le cause che ne determinarono la dissoluzione vengono individuate dagli storici nella decadenza dei costumi e delle principali virtù caratteristiche della romanità, la pietas e la fides, nonché, nel tracollo demografico accompagnato dal drastico calo della popolazione autoctona e dalla conseguente sostituzione di questa con stranieri provenienti dal di fuori dei confini dell’impero. L’apertura incondizionata delle frontiere fu infatti vista dalle istituzioni imperiali del tempo come l’unica soluzione per ristabilire l’equilibrio demografico perduto. Ben presto, tuttavia, Roma non fu più in grado di governare i flussi migratori, favorendo così accessi indiscriminati, né tantomeno gli stessi immigrati stanziatisi nei territori dell’impero. L’immigrazionismo incontrollato portò infatti in dote orde di barbari poco integrati e per nulla leali nei confronti dell’autorità e della cultura romana, che finirono poi col distruggere Roma dall’interno.
Or dunque, ciò che salta immediatamente all’occhio analizzando le cause che decretarono la fine dell’impero sono le sconvolgenti analogie esistenti tra le due crisi, quella romana sedici secoli addietro, e quella occidentale oggigiorno. Al pari della civiltà romana, infatti, anche il mondo occidentale imperversa oggi in una crisi identitaria e valoriale senza precedenti, in una spirale di decadenza che appare ormai inarrestabile. Quell’Occidente, culla di libertà e diritto, pare ora aver completamente smarrito la sua ragion d’essere, come sosteneva Grousset, sembra aver definitivamente smesso di amarsi, così audacemente e a tal punto da arrivare persino ad odiarsi, da rendere quella occidentale la più antioccidentale tra le civiltà del nostro tempo. Un Occidente sempre più oicofobico e nemico di sé, per riprendere le profetiche parole di un visionario Joseph Ratzinger, in cui riescono ad attecchire con sorprendente facilità, per poi a diffondersi a macchia d’olio, visioni intolleranti e censorie, e fondamentalisti vari, siano essi legati a ideologie laiche, seppur prevalentemente dogmatiche, o a confessioni religiose.
Orbene, è proprio l’integralismo religioso, nella fattispecie quello di matrice islamica, che oggi scuote dall’interno una civiltà sempre più fragile e disorientata e totalmente in balia di culture e fanatismi che incombono come una scure sul mondo occidentale minacciandone la sicurezza. Il livello di rischio è dunque altissimo, e impone all’Occidente di destarsi celermente da un torpore che potrebbe rivelarsi fatale per le sue genti e per la sua stessa esistenza. Esattamente come fu sedici secoli or sono per il glorioso impero romano.
Salvatore Di Bartolo, 19 ottobre 2023