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L’odissea di un viaggiatore ai tempi del Coronavirus - Seconda parte

L’operatore ci chiede le nostre condizioni, appurato che siamo in ottima salute, ci racconta che dovremo attenerci ad un periodo di 14 giorni di auto-isolamento, ne più ne meno di quanto letto, ci consegna un documento con un paio di fogli con tutte le indicazioni ed i numeri telefonici da contattare in caso di problemi e/o di domande da porre, quindi ci accompagna ad un altro banco dove ci dovremo ufficialmente registrare e dove indicheremo il nostro indirizzo di isolamento.

Ci chiede se avremo bisogno di assistenza per il cibo o se necessitiamo di denaro per questo isolamento. Ringraziamo ma spieghiamo loro che abbiamo un posto dove andare, che indichiamo, che abbiamo amici provenienti anche loro da diversi parti del mondo, kiwi compresi, che si sono già offerti di aiutarci con la spesa e le prime necessità. Usciamo dall’aeroporto molto più sollevati.

Dovremo stare in isolamento per 14 giorni, che rispetteremo sino in fondo, perché è giusto nei confronti di un paese che ti ospita, dei loro abitanti e dei nostri amici. Noi stiamo bene ma potremmo essere asintomatici oppure potremmo aver contratto il virus giusto il giorno prima di partire è giusto essere prudenti. Ci siamo così accorti, ma non è purtroppo la prima volta, che siamo atterrati in un paese civile che ha attuato una politica seria e rispettosa delle persone che ci vivono e che ci arrivano, cosa che l’Italia purtroppo non ha fatto appena il problema si era presentato ai nostri confini. Spesso purtroppo in Italia pensiamo troppo agli altri prima che a noi stessi.

Max, 6 marzo 2020

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