Se ne parla assai poco o non se ne parla affatto. Tuttavia, a mio modesto parere, c’è una sinistra linea di continuità tra l’emergenza Covid, enfatizzata oltre ogni misura in Italia, e l’emergenza energetica, colossale problema che non potrà certamente essere affrontato con la nostra tipica improvvisazione. E per comprendere in estrema sintesi l’assunto, è sufficiente un rapido raffronto basato sui numeri, che come è noto hanno la testa sempre maledettamente dura. Nel maggio nel 2021 per comprare un euro ci voleva circa 1 dollaro e 22, mentre ora bastano appena 96/97 centesimi. Una perdita assai rilevante in appena 18 mesi, che i keynesioti fanatici della svalutazione competitiva tenderanno a considerare assai vantaggiosa.
Tuttavia, a beneficio di chi invoca scorciatoie di tipo monetario, ricordo che una tale svalutazione impatta in modo diretto sui prezzi delle materie prime, petrolio e gas in primis, e sui cosiddetti semilavorati, i quali vengono acquistati in molte parti del mondo e pagati essenzialmente in dollari. Tant’è che l’Italia, basata su una economia di trasformazione, importa una quantità enorme degli stessi semilavorati e in buona parte da Paesi extracomunitari.
Ed ecco che comincia a intravedersi l’ombra sinistra di una manipolazione monetaria, in sostanza una inondazione di liquidità operata dalla Bce e resasi necessaria dalla catastrofe economica determinata dalle restrizioni sanitarie. In soldoni, è accaduto che vuoi attraverso la via indiretta di un forsennato riacquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario e vuoi con il trasferimento diretto di ingenti risorse monetarie create dal nulla ai membri della zona euro, con grande prodigalità nei riguardi proprio dell’Italia, il valore della moneta unica è sceso ad un livello che non si vedeva da molti anni.
E dal momento che la moneta non è altro che un titolo di debito, questa colossale operazione di rifinanziamento realizzata attraverso i computer della Banca centrale europea, tra le altre cose, ha determinato almeno due evidenti contraccolpi:
1. ha implicitamente distrutto ogni barriera di salvaguardia sul piano della disciplina di bilancio, consentendo al Belpaese di raggiungere un livello di indebitamento prima d’ora impensabile e, per questo, esponendoci al rischio di non riuscire più a sostenere un tale, mostruoso indebitamento;
2. al netto delle conseguenze scaturite dalla guerra in Ucraina e dal deciso rialzo, precedente all’attacco Russo, nei prezzi di molte materie prima, di fatto la debolezza dell’euro sta importando una forte dose addizionale di inflazione, causando una spirale di rincari a cascata che stanno scuotendo dalle fondamenta l’intera economia europea.
Da qui la decisione, non più rinviabile, presa dalla Bce di interrompere gli acquisti di nuovi titoli di debito dei Paesi membri lanciati con la pandemia, limitandosi a sottoscrivere quelli in scadenza. Ciò significa che l’Italia, se vorrà sostenere le bollette di imprese e famiglie, evitando una catastrofe economica senza precedenti, dovrà far ricorso agli odiati mercati finanziari, a meno di improbabili tagli draconiani alla spesa pubblica.
Solo che questa volta, con un debito sovrano che sfiora il 155% del Pil e nel bel mezzo di una drammatica stagflazione, la tanto bistrattata disciplina di bilancio sarà assolutamente necessaria per garantire a chi ci presta i quattrini che saremmo sempre in grado di pagargli quanto meno gli interessi.
Pertanto, il nuovo governo, che si sta per insediare nella peggiore situazione possibile, non potrà in alcun modo prendere in considerazione le ben note sirene del nostro ben noto teatrino politico-sindacale, su cui spicca sempre sul piano della facile demagogia la Cgil di Maurizio Landini. Non è questo proprio il tempo di ascoltare le irresponsabili pretese di chi vorrebbe far aumentare i salari a prescindere dalla condizione drammatica che stiamo vivendo, all’interno di una cornice con più welfare e meno tasse.
Claudio Romiti, 10 ottobre 2022