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Loro 2? Mancano le sfumature di grigio

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Siete berlusconiani delusi? Siete (a torto o a ragione, non importa) in polemica con quello che è accaduto negli ultimi anni nel centrodestra? Vi basteranno un paio d’ore al cinema per riconciliarvi con il Cav, o almeno per farvelo sentire più vicino (o meno lontano, fate voi) rispetto ai suoi odiatori.

Un paio di settimane fa, ero rimasto sorpreso in negativo da Loro 1, la prima parte del lungometraggio di Paolo Sorrentino su Berlusconi e la sua cerchia. Due giorni fa, in un cinema romano semideserto, sono andato a vedere il seguito, Loro 2.

Starei per dire che la parte più interessante dello spettacolo sono stati gli spettatori in sala: una ventina, non giovani, incattiviti, tra risatine e mormorii giustizialisti. Eccitati ogni volta che una scena confermava la loro indefettibile superiorità morale, culturale, antropologica. Ecco perché non servono grandi studi politologici per capire i motivi della sconfitta della sinistra: odiano gli altri, li giudicano, li condannano senza appello, non hanno tempo per altro, meno che mai per ascoltare.

Purtroppo, il vizio di quel pubblico è anche il vizio del film. Intendiamoci bene: non mancano intuizioni notevoli (Sorrentino è pur sempre Sorrentino), Toni Servillo riesce a cogliere non pochi aspetti del vero Berlusconi. Gli sguardi, il sorriso, l’alternarsi di seduzione e calcolo, di vero e di finto, la tensione al fare, un’energia che oscilla tra i poli del “positivo” e dell’”ossessivo”. La scena iniziale in cui Servillo interpreta contemporaneamente sia Berlusconi sia Ennio Doris è oggettivamente un pezzo di bravura, e coglie un punto psicologico: la “vendita”, ogni vendita, come la costruzione immaginifica e un po’ canagliesca di un sogno.

Ma il guaio è sempre quello. Non appena sembra che il regista e il suo protagonista possano finalmente avvicinarsi a uno snodo umano, psicologico, a un tentativo sincero di comprensione, ecco che come un macigno arriva – in forma cinematografica, in versione audiovisiva – la paginata del Fatto Quotidiano: lunghe, interminabili, prevedibili scene per spiegare che lì, tra Villa Certosa e Via del Plebiscito, c’è solo inganno-prostituzione-corruzione-compravendita di parlamentari.

Questi atti d’accusa sono noiosi tanto quanto le difese d’ufficio. Si precludono la sfida intellettuale di esplorare tutte le gradazioni di grigio che esistono tra il nero e il bianco. Si preferisce un catechismo fisso, a domande e risposte precostituite. “Com’è Berlusconi? Bugiardo!” “E come sono gli italiani che gli credono? Cretini!” “E come sono quelli che stanno con Berlusconi? Corrotti!” “E le ragazze? Tutte puttane!”. “E cosa rimane? Solo macerie: morali e materiali” (il film si chiude così).

Sta qui il punto debole di tutta l’operazione, purtroppo non riscattabile – a mio avviso – dal talento che Sorrentino mostra ancora una volta in tante sfumature. Il vizio è proprio questa propensione incancellabile al giudizio, al processo, alla condanna culturale e morale: gli altri (gli italiani, più ancora che il Cav) sono irredimibili, alcuni perché ingannatori professionali, gli altri perché ingannati abituali. Tertium non datur.

Peccato: perché proprio in quella dimensione “terza” c’è tutto: vita, errori, riuscite, la complessità dell’esistenza di ognuno. Che senso ha rifiutarsi di esplorarla, di provare a capirla?

Daniele Capezzone, 14 maggio 2018