Rassegna Stampa del Cameo

“Loro”, la stroncatura 2 di Riccardo Ruggeri

Rassegna Stampa del Cameo

Ho considerato una furbata markettara quella di Paolo Sorrentino di dividere in due un film che doveva chiudersi nei classici 100 minuti. Paolo si spaccia come artista sommo, forse lo è, e poi scivola su una furbata. Sarebbe come se Francis Bacon avesse spaccato in tre il suo Three Studies of Lucian Freud e pretendesse che noi andassimo a vedere le singole parti in tre musei diversi per poi ricomporlo nella nostra mente. Un’idiozia.

Non ho nessuna intenzione di andare a vedere Loro 2 dopo essermi sorbito il noioso Loro 1, per il semplice motivo che non può aggiungere nulla, anzi può solo peggiorare il già modesto risultato della prima parte. Che sia stato percepito, dagli addetti ai lavori, come un flop annunciato lo ha certificato il Festival di Cannes che non l’ha neppure preso in considerazione per il suo cartellone, malgrado il nome prestigioso del registra e il fatto che i co-produttori siano francesi.

Ho sempre trovato curioso fare un film su un personaggio vivente della politica, specie se lo si disprezza nel profondo come succede a tutti gli intellò verso Silvio  Berlusconi.

Prendiamo il caso più noto della storia del cinema: “Il dittatore” di Charlie Chaplin. È stato uno dei più modesti film del grande genio. Perché? Perché non era un film ma un’operazione di marketing politico, anche se, almeno nella fattispecie, il fine era nobile: convincere gli americani a entrare in guerra contro un regime criminale. Un film scadente, ma con un disegno alto.

I primi 75 minuti di Loro 1 dovevano essere dedicati proprio a “Loro”, la corte dei miracoli che ruota intorno a lui nel villone sardo e nel palazzo romano. In realtà si riduce a una modesta rappresentazione del mondo mensilmente raccontato fin dagli anni Sessanta da Hugh Hefner ai camionisti. Qua il consumo di coca è talmente eccessivo (imbarazzanti i rumori prodotti da nasi pecorecci in fase di assunzione di strisce medio-lunghe) da apparire più che un film di un autore da Oscar, un trailer di un documentario di Pablo Escobar. Quelli forse usati per convincere i capi dell’ufficio acquisti dell’ndrangheta a comprare partite di droga. Immagino l’irritazione di Gianni Letta nel vedersi trasformato in una macchietta di bianco vestita, lui abituato a confrontarsi con il Cardinale Mazzarino. Lui sì che meriterebbe un film, perché senza lui Berlusconi sarebbe rimasto il palazzinaro che investe i profitti nella nascente tv, e non un politico. Come politico Berlusconi si è limitato a mettere il corpo, perché la testa è sempre stata (ed è tuttora) quella di Letta.

L’idea che aveva funzionato in La grande bellezza di usare come attori-metafore animali dello zoo qua scivola nel penoso. Ho provato imbarazzo a decrittare le metafore delle pantegane giganti e di improbabili rinoceronti, che sfrecciano sulle strade di una livida Roma periferica finta (non c’è neppure uno straccio di buca). Soprattutto nell’assistere alla morte di una pecora (incinta?) per colpa di un micidiale mix: aria condizionata a tavoletta e tv implacabile in versione mute.

In realtà, ho trovato assurdo e fuori tempo fare oggi un film su Berlusconi stante la sua decisione di recitare fino alla fine interpretando se stesso. Ormai è chiaro, il Cav. si è fissato di  morire sul palcoscenico della politica, se possibile in diretta tv. Nella versione odierna mi ricorda un mix fra Leo Longanesi e Jean Gabin, con un look da marsigliese anni Trenta che lo ridicolizza.

L’unico momento autentico del film è la domanda che gli rivolge il nipotino “Nonno, una dozzina di miei compagni di scuola dicono che devi andare in prigione”. “Quanti compagni hai? “Trenta, nonno”. “Allora i conti tornano”. Su un personaggio così non si può fare un film, è sufficiente la cronaca che però non interessa più a nessuno. I giovani non lo conoscono, i vecchi vorrebbero avere i suoi quattrini ma non invecchiare così. In ogni caso, il Berlusconi di Sorrentino è nato vecchio: lui essere mutante per eccellenza, è già un altro.

Un suggerimento per la Procura di Milano: chiudete appena possibile i fascicoli su di lui, poi consegnate tutti i dossier su Silvio Berlusconi all’Archivio di Stato. Un quarto di secolo della storia d’Italia è in parte coincidente con la sua vicenda privata. Berlusconi non è un personaggio da film, è un pezzo della nostra storia da consegnare agli storici. Quando nel 2011 uscì di scena pensai che dovessimo vergognarci, di lui (e di noi).

In realtà, quelli venuti dopo di lui sono stati molto peggio, seppur formalmente più gradevoli solo perché politicamente corretti. Chissà se il 4 marzo sarà il primo atto del nostro riscatto, cancellando quel mondo e quello che l’ha combattuto.

Riccardo Ruggeri, 3 maggio 2018