Vorrei spezzare una lancia a favore di Lory Del Santo, che questa sera entrerà nella casa del Grande Fratello. E lo farà – cosa che ha destato scandalo per molti – dopo aver annunciato la morte per suicidio di suo figlio, seconda tragedia familiare dopo l’atroce incidente, molti anni fa (la caduta da un grattacielo), che procurò la morte di un altro figlio della showgirl.
La Del Santo si è fatta intervistare sabato, a Verissimo, da Silvia Toffanin: è stata una conversazione davvero delicata e rispettosa, tanto quanto un programma televisivo, la scatola televisiva, di per sé invasiva, possa esserlo. Ciononostante, sono iniziate le polemiche, che prevedibilmente si intensificheranno: ma come, una madre a cui è morto un figlio non ha niente di meglio da fare che andare in un reality-show?
E l’argomento ha ovviamente una forza assoluta: difficile dar torto a chi chiede silenzio, self-restraint (in tempi di rumorosa e chiassosa self-expression), assenza più che presenza o presenzialismo. Sono ragioni fortissime, razionali, geometriche, lo ammetto.
Eppure chi come me – da sempre – crede nel principio guida del “non giudicare”, ha un motivo per chiedere ai critici di fermarsi a loro volta a riflettere.
Viviamo in un tempo di trasformazioni assolute, antropologiche, che ci investono senza che neppure ce ne rendiamo conto. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i social network sa che ragazzi e ragazze non hanno timore di condividere un lutto, di ricevere l’abbraccio virtuale di tanti amici. Abbraccio superficiale, si dirà, giusto il tempo di un like: vero, eppure perfino nei modi istantanei e non profondi di Facebook, quell’abbraccio virtuale c’è, e un’intera generazione trova il modo (magari spiazzante agli occhi di chi è più grande) di esprimere un dolore, anziché rimuoverlo, e di cercare un conforto visibile.
Lory Del Santo, che pure non è un’adolescente, mi pare parte di questo meccanismo. Ammettere e rendere pubblico un dolore immenso, anziché nasconderlo. E per questo inviterei a capire, anziché puntare il dito. Con il suo gesto, non ci dice cosa sia lei in questo momento: ma cosa siamo noi, cosa siamo diventati, un “ogm” in trasformazione, un’umanità diversa da quella di anni o decenni o secoli fa.
Chi ama le lettere antiche, conosce quello che considero uno dei vertici della letteratura e del pensiero umano di ogni tempo: la “Consolatio ad Marciam”, il testo scritto da Seneca per rivolgersi a Marcia, che ha perso un figlio. E, in pagine da rileggere con occhi che inevitabilmente si inumidiscono, Seneca distilla tre concetti.
1. Tutte le cose umane sono brevi, caduche, mortali. Se anche la nostra piccola traiettoria si protraesse per un minimo segmento in più, a cosa servirebbe?
2. Vivendo tra le stelle, si può comprendere la miseria dell’esistenza umana, tra liti e bassezze, mentre il tempo prevarrà su tutto, prosciugando i mari e spianando i monti.
3. La possibilità di ricongiungersi idealmente ad altri spiriti, senza più insidie, nella libertà e nella vastità eterna.
Scusate la divagazione. Sarebbe troppo facile, quasi come sparare sulla Croce Rossa, contrapporre Seneca al Grande Fratello tv. E invece no: il Grande Fratello, da stasera, ha una sfida immane, quella di portare ad alcuni milioni di telespettatori una piccola, piccolissima frazione della grandezza di Seneca, e del senso della vita, che sta proprio nel passaggio di testimone tra morti e viventi.
Auguri sinceri e di tutto cuore a chi (la Del Santo, gli autori e la conduttrice) si è assunto questo enorme compito.
Daniele Capezzone, 24 settembre 2018