Abbiamo un problema: il ritorno dell’eterno fascismo. Prima ancora dell’incursione di Forza Nuova dentro la sede della Cgil, la parola Fascismo stava già tornando in auge, in tutto il mondo, grazie alla pandemia. Non a caso la rivista spagnola Vanguardia, nel dossier di marzo 2021 intitolato “El mundo después de la Covid 19”, si interroga sul risorgere delle pulsioni fasciste, parallelamente all’imporsi di quello che è stato denominato il “Nuovo ordine mondiale”.
Covid come strumento di potere
Nel reportage “Autocracias y populismo en los nuevos tiempos”, l’autore Joshua Kurlantzick – giornalista e membro del sud-est asiatico presso il Council on Foreign Relations – riflette su cosa, durante l’emergenza dovuta al Covid-19, abbia accomunato il tragitto politico di numerosi governi, in ogni parte del mondo. Da quello del presidente delle Filippine Rodrigo Duerte, passando per l’Ungheria di Viktor Orbàn e l’India del primo ministro Narendra Modi, per arrivare al partito conservatore “Legge e giustizia” in Polonia fino ai governi di Israele, Canada, Australia, Russia. Solo per citarne alcuni.
“Un contagio della magnitudine del Coronavirus offre alle figure autoritarie una opportunità di consolidarsi al potere superiore a qualsiasi altro avvenimento, eccetto una guerra” scrive Kurlantzick, elencando come l’uso dei poteri emergenziali sia avvenuto, in moltissimi Paesi, a scapito delle libertà civili della popolazione. La compressione dei principali diritti costituzionali è stata compensata solo in parte dalla promessa di sicurezza offerta dallo Stato ai propri cittadini. A questa promessa si è poi saldata, da parte di dirigenti autocrati, “l’opportunità di stigmatizzare determinate minoranze nella popolazione, incolpandole dell’epidemia. Di fatto, dalle Filippine all’Ungheria, attraverso l’India e la Cambogia, i governanti di molti Paesi stanno usando il Coronavirus per accumulare poteri e stabilire nuove regole che saranno difficili da eliminare quando l’emergenza sarà cessata. Molti di questi nuovi poteri non hanno un limite temporale come scadenza. E la pandemia avrà consolidato il potere di questi despoti in modo indefinito” sottolinea l’autore.
Stato d’emergenza perenne
Queste riflessioni dovrebbero colpirci, anche se non viviamo in Cambogia. Dall’inizio della pandemia, quasi due anni fa, l’Italia è impantanata in uno stato di emergenza perenne. Nonostante da tempo l’emergenza non sia più così evidente, né nei numeri né nella logica dei provvedimenti emanati da enti spesso nemmeno di rango istituzionale ma, nei fatti, dotati di maggiori poteri e di una trasparenza a dir poco carente. Comitati e istituti che emanano norme spesso in contrasto tra di loro: da un lato c’è l’assoluta rigidità di protocolli (più politici che sanitari) come il lasciapassare verde per accedere al posto di lavoro; dall’altro l’assoluto disinteresse a conoscere quali siano i luoghi di maggior contagio del virus, i soggetti ad esso più esposti (in maggioranza, a leggere i dati dell’Istituto superiore di Sanità, soggetti non più in età lavorativa) e il modo più efficace per proteggerli. Mentre appaiono totalmente ignorati, da questi apparati, i costi sociali, economici e psicofisici generati da uno stato di emergenza endemico, che non può che erodere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche rappresentative. La scarsa partecipazione politica alle più recenti tornate elettorali, anche se locali, dovrebbe suonare come un campanello di allarme.
Bastano queste forti compressioni dello stato di diritto e del principio di checks and balances dei poteri per connotare l’operato di un governo con l’aggettivo “fascista”? O neofascita? O populista? O autoritario? Qui entriamo in un campo spinoso da maneggiare, persino per i politologi, che non concordano su una definizione condivisa del fenomeno. Sicuramente, la pandemia ha fatto risorgere l’uso demagogico, e talvolta improprio, di tutte queste denominazioni per qualificare quei governi che hanno imposto limitazioni durature dei diritti costituiti ai propri popoli. Ma questo è avvenuto solo nei governi e nei regimi dittatoriali considerati di destra? Su questo tema si interroga la rivista Il Mulino, che ha dedicato la sua ultima pubblicazione trimestrale all’analisi del concetto di Fascismo come “eterno ritorno”.
Fascismo immaginario
“La tesi del fascismo eterno è una conseguenza della banalizzazione del fascismo stesso, al punto in cui il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali” scrive Steven Forti, professore di Storia Contemporanea presso l’Universitat Autònoma de Barcelona e ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa. In questo modo personalità del tutto diverse come Trump, Bolsonaro, Salvini, Meloni e Orbàn possono essere etichettate come “fasciste” dai media, e dai loro oppositori, pur non avendo tratti né obiettivi in comune col fenomeno politico conosciuto come “fascismo” storico”. Tanto che per Trump è stata coniata, tra le tante, anche la magmatica definizione di “leader postfascista senza fascismo”.
Come spiega Emilio Gentile, la tesi del “fascismo eterno” – o Ur Fascismo, avanzata da Umberto Eco in una conferenza tenuta negli Usa nel 1995 – “ha portato a una sorta di astoriologia in cui il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali”. Ma leggiamo quali elementi, secondo Eco, sono caratteristiche tipiche del Fascismo: il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell’azione per l’azione, il rifiuto di qualsiasi critica, la paura dell’Altro, l’appello alle classi medie frustrate, l’ossessione del complotto, l’elitismo popolare, l’eroismo, il machismo, un “populismo qualitativo” e la creazione di una neolingua. Secondo il semiologo e filosofo piemontese, la presenza di almeno una di queste caratteristiche sarebbe sufficiente a creare una “nebulosa fascista”.
Demonizzare l’avversario politico
Tuttavia, la facilità con cui si possono addebitare alcune di queste connotazioni a governi considerati oggi di centro o di sinistra, oltreché a quelli populisti o conservatori, dovrebbe portare a maneggiare la definizione di “fascismo” con più onestà intellettuale e accortezza. E non come spauracchio demagogico e retorico per guadagnare facile consenso elettorale o demonizzare l’avversario politico. L’analisi politica dovrebbe essere non solo più precisa, ma anche più profonda. Come osserva lucidamente Forti “né il concetto di fascismo né quello di populismo ci aiutano a capire cosa sono e quali obiettivi hanno Trump o Salvini: tempi nuovi richiedono nuove categorie”.
Provate a elencare alcuni degli ultimi provvedimenti di un governo a caso, sia esso italiano o francese o americano: imporre un pass per frequentare luoghi di svago, di cultura o di lavoro, discriminando chi non lo possiede; imporre l’uso di una neo lingua per rifondare la grammatica e rendere impersonale (“equa”) la definizione di genere; enfatizzare le differenze tra oppressi e oppressori in chiave razziale (crical race theory); stigmatizzare la pandemia come risultato di un comportamento irresponsabile dei “non vaccinati”, creando divisioni all’interno del corpo sociale; usare la tecnologia per censurare opinioni e articoli che non corrispondono alla narrativa ufficiale di governo, intaccando la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà di manifestare per i propri diritti da parte delle minoranze.
Se mettete su queste azioni, o su una di esse, la faccia di Salvini o di Trump, sarebbe facile bollarle come imposizioni autoritarie o “fasciste”. Anche se non sono loro ad averle imposte bensì leader democratici per i quali, oggi, servirebbe un nuovo Eco per definirne le gesta.
Beatrice Nencha, 1° novembre 2021