L’ossessione green è una brutta bestia. In nome di presunti benefici per l’ambiente, assistiamo a provvedimenti e iniziative distanti anni luce dal buonsenso. Lo abbiamo visto in Europa, con interventi tra l’inutile e il folle. La sinistra ha ovviamente abbracciato la bugia verde e una delle roccaforti dell’integralismo ecologista è certamente Bologna. L’amministrazione Pd guidata da Matteo Lepore si è contraddistinta per leggi e operazioni quantomeno particolari, basti pensare all’istituzione del limite a 30 km/h in gran parte delle strade urbane della città. Tra le motivazioni anche l’obiettivo di sentire il canto degli uccellini al posto del rumore delle auto.
L’ultima mossa talebana riguarda le case popolari. Questa volte non dedicate ai migranti, ma esclusiva degli attivisti verdi. Lo scorso 28 gennaio il Comune dem ha pubblicato un bando dedicato alla Casa di Quartiere Katia Bertasi per la “costituzione della comunità di abitanti e per l’assegnazione di 10 alloggi nel nuovo Cohousing di via Fioravanti 24”. Come si legge nel testo, l’assegnazione degli alloggi, dopo una prima selezione basata su criteri oggettivi anche di affinità al progetto di chi si candida, avverrà a seguito di un percorso formativo e partecipativo che durerà circa quattro mesi. L’avviso è rivolto “a persone singole o a nuclei familiari, composti da un massimo di 4 persone, intenzionati a fare parte di una comunità collaborativa e solidale attiva sui temi della transizione ecologica giusta, dell’autoconsumo energetico e della sostenibilità ambientale“. Ma attenzione. Un esperimento di convivenza verdissima per promuovere “la prima esperienza di autoconsumo energetico collettivo su un edificio pubblico di edilizia sociale”. Ma il peggio deve ancora venire.
Il bando in questione elenca i vari requisiti per fare domanda – le consuete modalità tra ISEE basso, permesso di soggiorno attivo, impiego o studio in città – ma c’è un dettaglio che non può passare inosservato. In base a quanto disposto dai dem, chi presenta istanza dovrà poi dimostrare di avere alcune caratteristiche di affinità al progetto: parliamo di “esperienze di volontariato/attivismo in campo ambientale o sociale, esperienze formative o lavorative in ambito sociale o ambientale, oppure avere esperienze pregresse in condomini solidali o cohousing”.
In altri termini, devi essere un attivista o un volontario per l’ambiente o per il sociale. Robe da pazzi. No, non è una boutade: è tutto tremendamente vero. Come se non bastasse, è in programma una sorta di selezione in stile reality show in cui dei 21 nuclei selezionati – coinvolti in un percorso partecipativo e di formazione, ovviamente – ne verranno selezionati 10 che andranno a comporre la comunità di abitanti.
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Insomma, si tratta chiaramente di un progetto dedicato a chi è di sinistra. Chi a Bologna si fa carico dell’attivismo sociale se non i famosi centri sociali rossi? Per carità, sempre meglio delle occupazioni tanto care a Ilaria Salis ma anche a qualche altro politico bolognese che in passato ha fatto propaganda a favore degli abusivi contro le agenzie immobiliari. Ma qui siamo dalle parti del comunismo. Ma è anche un po’ discriminatorio, senza dimenticare il consueto doppiopesismo, soprattutto se si pensa che a Venezia vengono bocciati i bandi per le case pubbliche perché il maggior punteggio per chi risiede da 5 anni non è abbastanza inclusivo.
Ne avevamo sentite tante, ma la patente green per avere un bene ci mancava, il rispetto della Bibbia ecologista. E il timore è che il fenomeno si allarghi. Potrebbe diventare una consuetudine chiedere di essere ligio alle indicazioni integraliste della sinistra tra i requisiti per ottenere una casa popolare. Al peggio non c’è mai fine…
Franco Lodige, 1 febbraio 2025
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