Nel 2004, mentre era ministro della Difesa nel secondo governo Berlusconi, Antonio Martino pubblicò un libro per l’editore Liberilibri intitolato Semplicemente liberale. Non era un titolo casuale, di circostanza, perché quell’avverbio stava a indicare una congenita allergia che egli aveva per ogni tentativo di aggettivare il liberalismo parlando di “liberalsocialismo”, “liberal democrazia”, di “sinistra liberale” o anche “destra liberale”. Ed anche la convinzione che non potessero esserci altre forme di liberalismo al di fuori di quella che egli aveva appreso alla scuola di Milton Friedman e che aveva i suoi padri nobili negli esponenti di quella “scuola austriaca dell’economia” che da Carl Menger giunge a Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek.
Non so se questo punto specifico Martino avesse ragione, anzi ne dubito fortemente, ma so che egli ha interpretato nel miglior modo possibile la vera cifra del liberale: l’anticonformismo, cioè l’opporsi al pensiero dominante e dire anche cose urtanti o controintuitive. Lo faceva con il tocco del gentiluomo meridionale, tanto più incisivo quanto meno era sbracato e più era disincantato e non alieno da una certa “sprezzatura”.
Sempre in quel libro, Antonio Martino diceva che il liberalismo non è tanto una dottrina economica ma una concezione della vita volta a premiare gli sforzi degli individui contro i sussidi e gli assistenzialismi dello Stato. Aveva ragione. È la parte bella, e che ci fa amare, i liberali alla Martino. I quali però sono sempre a rischio di cadere nel determinismo, cioè nel pensare che date certe condizioni economiche (di libero mercato, concorrenza, proprietà privata, ecc. ecc.) le libertà individuali si affermino autonomamente. Che a ben vedere è l’esatto speculare, e quindi il simile, di quel che pretende il marxismo quando distingue struttura e sovrastruttura. E chissà che non sia stata forse la convinzione in questo automatismo che abbia portato uomini come lui (che era ministro degli Esteri quando a Pratica di Mare su iniziativa di Berlusconi il G7 si aprì a Putin) a credere che il mercato e i commerci avrebbero addolcito e reso liberali regimi come quello russo o cinese.
Giulio Tremonti, che liberale certamente non è, e che è stato l’avversario storico di Antonio Martino in Forza Italia, ha avuto il merito di non cadere in questa sorta di provvidenzialismo liberale. Ed oggi noi tutti, cullatici prima nelle illusioni della globalizzazione, e poi messi di fronte alle controprove della dura realtà, abbiamo una concezione più tragica e meno lineare della libertà. E più non crediamo a quella metafisica assunzione per cui Stato e individuo siano uno il nemico dell’altro e non, anche in questo caso, gli opposti speculari di un’unica relazione.
La stessa consapevolezza che, dopo i totalitarismi e il conflitto mondiale, maturò ad esempio negli ultimi anni della sua vita Benedetto Croce, che di Martino e tanti altri come lui era (pur nel doveroso rispetto) la bestia nera. Fra le tante virtù di Martino, quella che a me ha sempre più colpito è stata la schiettezza e la linearità con cui ha affermato le sue idee. Poco aduso alle ipocrisie, anche al momento del suo massimo potere, egli non è stato mai un uomo di potere o di cortigianerie. E già solo questo dovrebbe farcelo amare e ricordare sempre con rispetto. Un alieno, o quasi, nel nostro universo politico.
Corrado Ocone, 6 marzo 2022